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Sostenibilità ed efficienza

Scritto da: Enrico Giovannetti

 

Della sostenibilità e dei conflitti con la teoria economica standard

Non esiste una definizione pienamente condivisa del concetto di sostenibilità. È la conseguenza diretta dell’incapacità dell’Economia Politica di indicare un quadro teorico coerente attraverso cui affrontare il problema non-aggirabile della crescente scarsità delle risorse planetarie disponibili. Inevitabilmente, a tale vuoto teorico segue un disaccordo generale sulle politiche e su un progetto istituzionale in grado di dare una risposta efficace. Eppure, la soluzione al problema della scarsità è la ragione d’essere della disciplina economica, che la intende come la ricerca, tra le alternative possibili, delle soluzioni ottimali nell’allocazione di risorse scarse: l’efficienza economica, appunto.

Nell’arena del dibattito politico, le definizioni accreditate di sostenibilità sono principalmente due: una, che la definisce come equilibrio tra la soddisfazione dei bisogni delle generazioni presenti e di quelle future; l’altra, più di natura tecnico-ingegneristica, che punta alla realizzazione di una economia in cui il valore dei prodotti, dei materiali e delle risorse impiegate venga mantenuto il più a lungo possibile, con una produzione di rifiuti ridotta al minimo. Pur godendo di grande popolarità, entrambe le prospettive soffrono di non trascurabili ambiguità: la più importante è di non fare i conti, a livello teorico, proprio con il concetto di efficienza proposto dall’economia standard. Dato che il tema non è mai affrontato direttamente, il conflitto latente con la teoria economica mainstream emerge raramente per sè; viene tuttavia alla luce in ambiti differenti come, ad esempio, sul senso da attribuire al concetto di “futuro”.

 

Dello sviluppo e del futuro

Non stupisce che di fronte alla prima proiezione sui limiti dello sviluppo proposta dal Club di Roma (Medows et al., 1972), le reazioni degli economisti furono manifestamente ostili, addirittura stizzose: “a brazen, impudent piece of nonsense that nobody could possibly take seriously” (Beckerman, 1972; Perman et al., 2011:49). Le posizioni attuali sono assai più prudenti, soprattutto da quando quelle previsioni sui trend di alcune macro-variabili si sono mostrate corrette, anche grazie a nuove stime effettuate in tempi più recenti (Turner, 2008, 2014; Giovannini, 2018; Perman et al., 2011).

La definizione di futuro disegnata da queste previsioni acquisisce un valore diverso se si assume come approccio – analitico e valutativo - quello della sostenibilità. L’attenzione, infatti, non è alla singola risorsa (es. il petrolio) da considerare nel suo ottimo utilizzo intertemporale, determinato dal razionale esercizio dei diritti (privati) di sfruttamento, ma agli effetti globali dell’agire collettivo; anche (ma non solo) intorno a quella risorsa e, dunque, alle prospettive delle condizioni di vita dell’intera comunità umana. In questo caso, il futuro non è una discussione astratta sui tassi di sconto, ma è il complesso dei trend osservabili negli andamenti demografici della popolazione, delle risorse esauribili, del cibo disponibile e, dunque, della sostenibilità dei processi di produzione di beni e servizi.

Le figure illustrate in Figura 1 mostrano allora il rischio di un futuro distopico, che ricorda la sindrome della crisi eco-sociale dell’“Isola di Pasqua” (Diamond, 2005) e che la pandemia da Covid-19 ha prefigurato in modo allarmante. La caduta delle risorse disponibili avrà effetti così vincolanti da determinare la veloce caduta della produzione di beni e servizi insieme a una progressiva e drammatica diminuzione della popolazione (le morti in netto aumento rispetto alle nascite), tanto che l’inquinamento stesso potrebbe non essere più un problema.

 

Figura 1. Proiezioni e tendenze attuali delle stime del club di Roma sui fondamentali dei sistemi eco-sociali

Fonte: Turner (2014:8).

 

Una tale proiezione solleva punti critici non solo per l’economia standard ma anche per l’economia circolare. Il principale è il grado di attenzione che è comunque necessario porre alla scala dell’attività economica e agli impatti non reversibili sugli stock di risorse utilizzabili; quindi, nel lungo periodo, alla crescita dei costi di recupero delle risorse scartate. Ancora una volta si pone il problema della definizione del futuro. Cercheremo di sintetizzare tali problemi analitici con la rappresentazione di un futuro osservabile, perché “immediatamente” presente.

 

Dello scambio, ossia il vero terreno del confronto

Per comprendere le vere ragioni del “vuoto” teorico dell’Economia Politica su questi temi è necessario considerare un punto analitico molto difficile da riportare al centro dell’attenzione: il problema generale della crescente scarsità delle risorse disponibili, rende sempre più pressante la questione della loro distribuzione tra gli agenti. Tuttavia, il tema della distribuzione delle risorse è un argomento che l’economia standard considera definitivamente risolto nel concetto di efficienza paretiana. L'ottimo paretiano (dal nome dell’economista Vilfredo Pareto) è una situazione di allocazione efficiente delle risorse: in una condizione di ottimo paretiano, non è possibile migliorare il benessere (utilità) di un soggetto, senza peggiorare il benessere degli altri soggetti. È dunque questo il terreno per un confronto critico e manifesto tra i due concetti concorrenti di sostenibilità e di efficienza.

Gli economisti hanno un forte attaccamento alla crescita economica come principale obiettivo politico. Uno dei motivi principali è che vedono nella crescita l'unico modo possibile per risolvere il problema della povertà. L'argomento è che la condizione per molti dei poveri può essere migliorata con la crescita economica, senza togliere nulla a chi sta meglio. In generale, chi sta meglio resisterà ai tentativi di ridistribuzione a favore dei poveri, in modo tale che questa via verso la riduzione della povertà comporterà tensioni sociali e probabilmente conflitti violenti. Inoltre, al di là di tali considerazioni, la riduzione della povertà, tramite ridistribuzione, potrebbe non funzionare anche se politicamente e socialmente fattibile. Il problema è che in genere i poveri sono molto più numerosi dei ricchi, quindi semplicemente non c'è abbastanza da prendere dai ricchi per elevare i poveri al di sopra della soglia di povertà.” (Perman et al. 2011:45-46)

Il paradigma implicito nell’economia standard, individualista, è che la soluzione alla scarsità delle risorse sia comunque da ricercarsi nell’efficienza dello scambio tra individui. La conseguenza per la politica economica è che non viene mai affrontata la valutazione di come gli “scambi” possano danneggiare progressivamente la fertilità delle risorse stesse, soprattutto di quelle non coinvolte esplicitamente nel contratto di scambio. Non a caso, gli effetti indesiderati – che si manifestano al di fuori dei fondamentali del nucleo teorico – vengono definite genericamente esternalità. La teoria standard considera le “esternalità” sempre come “attriti” o effetti di circostanze fortuite o indesiderate che fanno “fallire” il mercato, impedendo al sistema di raggiungere le posizioni di ottimo. Tali “fallimenti” non sono mai considerati come la dimostrazione empirica degli errori logici nella formulazione del modello e, dunque, del fallimento della teoria stessa.

In termini più crudi, dunque, il problema non è la politica di Robin Hood, togliere ai ricchi per dare ai poveri, ma evitare che la ricerca della ricchezza privata porti con sé una progressiva e crescente distruzione di risorse, con particolare attenzione ai beni comuni (quelli per cui i diritti di proprietà “non sono ben definiti”); cioè tutte quelle risorse che si trovano libere, nelle verdi praterie dell’esternalità.

In un mondo a risorse finite, la progressiva ricerca di fattori produttivi a basso costo compromette la fertilità stessa delle risorse disponibili, individuali e collettive. Per questo, il PIL, come qualunque altra misura calcolata sulla produzione di beni e servizi, non può essere assunto come indicatore robusto della sostenibilità della “crescita” ma è necessario adottarne uno che tenga conto del rapporto tra l’utilizzo delle risorse, il livello dello scarto prodotto e gli effetti di lungo periodo sulla qualità delle risorse.

 

Delle frontiere dell’efficienza e dei limiti della loro sostenibilità

Nel Quadro 1 viene proposta una definizione di sostenibilità che tiene conto delle considerazioni critiche appena discusse circa il concetto di efficienza paretiano.

 

Quadro 1 - Definizione di sostenibilità e suoi corollari

Definizione:

  • Sostenibile è un sistema in grado di riprodurre/rigenerare tutte le risorse impiegate nei processi economici che lo caratterizzano, rispettando i tempi naturali necessari alla loro rigenerazione, in modo da mantenere o aumentare le capacità/fertilità delle risorse stesse, minimizzando i costi sociali derivanti dal loro utilizzo

 

Corollari:

  • è sostenibile un processo/impresa/sistema che riconosce, i costi reali diretti dell’uso di risorse necessarie alla sua attività, e i costi indiretti come diritti di terzi.
  • un’azione è innovativa solo se è sostenibile, quindi se aumenta la capacità/potenzialità delle risorse che usa e se non danneggia/riduce le potenzialità di altre risorse.
  • aumentare il grado di equità distributiva di un sistema economico corrisponde ad un’azione innovativa perché mantiene e migliora la capacità delle risorse, aumentando le potenzialità bio-economiche del sistema.
  • La possibilità di raggiungere e mantenere l’equità distributiva rappresenta una misura non distorta della resilienza del sistema (mantenimento della sostenibilità nel periodo lungo).

 

Nei due grafici seguenti, la rappresentazione standard della funzione di produzione aggregata (Figura 2) che gode del più alto consenso nella letteratura economica (Acemoglu, 2009:34) viene confrontata con la definizione di sostenibilità proposta (Figura 3). La curva di Figura 2 traccia la frontiera delle diverse possibilità produttive, rese possibili dalle scelte private di allocazione efficiente dei fattori. In questa rappresentazione il punto A e il punto C sono entrambi esiti efficienti nell’impiego delle risorse a diversa scala; B è inefficiente; il punto D viene considerato un risultato irraggiungibile allo stato delle conoscenze privatamente appropriabili. Se indichiamo con il simbolo > la preferibilità economica delle diverse allocazioni, allora (l’economia in grado di realizzare C è più “sviluppata”).

 

Figura 2. La frontiera di produzione (combinazioni efficienti)

Figura 3. Economia in stato pienamente reintegrativo O = I e frontiera di produzione

 

Il secondo grafico (Figura 3) confronta la frontiera dell’efficienza paretiana con il limite della produzione perfettamente sostenibile. Dato un determinato ammontare di fattori impiegati in input, i punti sulla retta a 45° rappresentano economie in completo stato reintegrativo, cioè dove valgono le condizioni . In altri termini, dove l’output di un anno può essere tutto reimpiegato nell’anno seguente. Nella realtà tale retta, per la seconda legge della termodinamica, costituisce un limite non-raggiungibile, a causa della perdita, inevitabile e irrecuperabile, di energia e materia nei processi produttivi (Georgescu-Roegen, 1972). Ma l’area compresa tra la funzione aggregata di produzione e tale retta indica la dimensione e il crescente peso delle “esternalità”: all’aumentare della scala economica, la produzione regolata dal mercato genera oneri sociali crescenti in forma di scarto. È importante far notare che proprio nella rappresentazione standard dei rendimenti (Figura 2), c’è l’implicita ammissione del rapporto decrescente tra input di risorse e output regolato economicamente dal mercato.

Ad esempio, sia B un assetto produttivo che utilizza ancora largamente motori a combustibili fossili; sia A un differente assetto in cui il motore elettrico si sostituisce rendendo “più green” l’utilizzo delle risorse (meno inquinamento, meno CO2, più economia circolare, ecc.). Il motore elettrico ha bisogno però di batterie sempre più performanti, dove il litio è una componente (ad oggi) insostituibile. L’80% del litio del pianeta è concentrato in una ristretta area tra Nord del Cile, Bolivia e Argentina, nei grandi salar nelle Ande. I non “ben definiti” diritti di proprietà sul quel territorio, in realtà, sono beni comuni sui quali si basa l’economia del popolo andino. L’immensa bellezza di questi luoghi ha permesso, nel corso del tempo, un nuovo sentiero di sviluppo per l’antico sistema eco-sociale (Anderies et al., 2004), risalente alla cultura Qhuéciua, coeva degli Incas. Attualmente tale sistema ha realizzato una filiera di turismo sostenibile, nella naturaleza, intorno alla quale ruota tutta l’attività dell’area, con un indotto non trascurabile per l’intera economia delle tre nazioni interessate. Tornando dunque alla Figura 3, volendo raggiungere il livello C di attività, si può immaginare di disporre della migliore tecnologia green introdotta in A. Ma la maggiore domanda indotta di litio avrebbe come possibile conseguenza la distruzione dell’intera economia delle comunità andine e una lunga catena di “esternalità” già viste in altre circostanze (Barbier et al., 2004): pur volendo prescindere completamente dal danno alla “naturaleza” per l’umanità e al settore turistico dell’area, la tecnologia estrattiva del litio avrebbe bisogno di un grande ammontare di acqua, già scarsa in quelle zone, che porterebbe inevitabilmente ad una drammatica crisi idrica per le popolazioni locali e all’economia agropastorale. Seguirebbero inevitabilmente storie di migrazioni interne, come altre già conosciute nella storia dei paesi del Sudamerica. In generale, è impossibile dar conto, in modo appena sufficiente, della letteratura esistente su tutti questi fenomeni, avvenuti, o correntemente in atto a livello planetario. È utile però riflettere ancora una volta sulle ragioni eco-sociali sottostanti alle tendenze, osservabili nella Figura 1.

La Figura 3 permette quindi di considerare il problema dello scarto sotto un diverso angolo visuale. Si è detto che l’area indicata come “esternalità” riguarda l’ammontare di risorse perse ai diversi livelli di attività economica. In realtà, lo scarto può essere visto anche come la progressiva distruzione di risorse collettive; cioè quelle risorse che, pur potenzialmente disponibili per il benessere collettivo sono perse, ad esempio, dal passaggio da A in C. Si può dunque definire ogni scarto come la distruzione di un bene comune.

Allora, se consideriamo sia i costi privati (cioè la differenza tra outputs ottenuti e gli inputs impiegati corrispondenti ai diversi punti), sia i costi sociali (la differenza tra l’output ottenuto e il massimo output ottenibile in stato perfettamente reintegrativo), ma . Dunque, non può essere che C sia preferibile ad A proprio per le consuete ipotesi sui rendimenti dell’economia privata nei modelli standard di crescita. Al tempo stesso, non c’è ragione di pensare che l’azione collettiva – delle istituzioni pubbliche o private – non possa o non debba tentare di internalizzare e cercare di risolvere le “esternalità” con innovazioni eco-sociali. Cioè tentare di superare i vincoli che impediscono all’attività economica corrente di raggiungere D, ad esempio, riducendo lo spreco di capitale umano e naturale (Anderies et al., 2004; 2013). Se si pensa così spesso all’azione salvifica dell’innovazione tecnica, perché non dovrebbe essere possibile ricercare il continuo aumento della fertilità di tutte le risorse disponibili?

Tutto questo implica che un punto di efficienza paretiana non è dunque condizione sufficiente, perché in termini di costi complessivi (privati e sociali) . Per le stesse ragioni, date le risorse umane, fisiche e naturali impiegate, C non è neppure necessaria a garantire la sostenibilità. Infatti, per ottenere una condizione di maggiore prodotto sociale – cioè del prodotto effettivamente disponibile al netto dello scarto – non c’è alcuna necessità di considerare C come obbiettivo desiderabile in sé ( ). L’impossibilità del “liberale paretiano”, dimostrata da Sen (2009), si ripresenta qui come l’impossibilità dell’economia privata – così come viene concepita in un quadro di individualismo metodologico – di orientare da sola le scelte degli agenti e di raggiungere il massimo livello possibile di sostenibilità del sistema. In altre parole, è impossibile un’efficienza paretiana sostenibile. 

Il tentativo di rigenerare quanto più possibile la fertilità delle risorse utilizzate significa anche disegnare il loro futuro, qui e adesso. Tanto più si riuscirà a raggiungere questo obbiettivo oggi, tanto più le “future generazioni” saranno protette, qui e adesso. Ammettere che tutti rappresentiamo il futuro di ogni altro essere vivente, implica adottare politiche economiche con una visione di un futuro immediatamente presente.

 

Di un futuro possibile

Qualunque sia la fede nel progresso tecnologico, per la seconda legge della termodinamica, la retta a 45° della Figura 3 rappresenta un confine non raggiungibile. Se però l’obbiettivo collettivo ed individuale è di migliorare progressivamente i funzionamenti del sistema economico, in modo che rigeneri e potenzi al massimo tutte le risorse disponibili, un limite irraggiungibile (quello della completa rigenerazione) non significa un limite inavvicinabile (Sen, 2009). Del resto, lo stesso modello di concorrenza perfetta, anche se non osservabile concretamente, ha rappresentato da sempre un punto di riferimento ideale, in grado di orientare la formulazione dei modelli economici e rappresentare un metro di misura dell’efficacia delle politiche. Parimenti, la linea di confine di un’economia circolare perfettamente sostenibile dovrebbe rappresentare l’obiettivo di ultima istanza per l’azione collettiva e per la formulazione di politiche orientate alla sopravvivenza del pianeta e dei suoi esseri viventi. Ossia l’ultima istanza al presente di un futuro possibile.

Infine, la definizione di sostenibilità proposta indica un principio di giustizia nella difesa della potenzialità di tutte le risorse presenti, da consegnare al Futuro, perché esista un futuro: è la giustizia intergenerazionale raggiungibile, qui e adesso, rappresentata dal mito di Enea che, nel pericolo di un futuro distopico, sorregge sulle spalle il padre Anchise e conduce per mano il figlioletto Ascanio.

 

Riferimenti bibliografici

  • Acemoglu D. (2009), Introduction to Modern Economic Growth, Princeton, Princeton Un. Press.
  • Anderies J., M. Janssen e E. Ostrom (2004), “A Framework to Analyze the Robustness of Social-ecological Systems from an Institutional Perspective”, Ecology and Society, 9(1). Link.
  • Barbier E. B., M. Cox (2004), “An economic analysis of shrimp farm expansion and mangrove conversion in Thailand”, Land Economics, 80(3), 389-407.
  • Diamond J. (2005), Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere, Torino, Einaudi.
  • Georgescu-Roegen N. (1972), Entropy Law and Economic Processes, Harvard, Harvard University Press.
  • Giovannini E. (2018), L’utopia sostenibile, Roma-Bari, Laterza.
  • Medows D., D. Medows, J. Randersen e W. Behrens III (1972), The Limit of Growth, Report Club di Roma, Universe Book, NY. Link.
  • Perman R., Y. Yue Ma, M. Common, D. Maddison e J. McGilvray (2011), Natural Resource and Environmental Economics, Boston, Addison Wesley; 4 ed.
  • Sen A. (2009), The Idea of Justice, Cambridge, Mass. Belknap Press/Harvard University Press.
  • Turner G. M. (2008), “‘A comparison of The Limits to Growth with 30 years of reality’”, Global Environ­mental Change, 18, 397-411.

 

Suggerimenti alla lettura

  • Anderies M. J., Janssen M. (2013), Sustaining the Commons, Centre for the studies of Institutional diversity, ASU.
  • Ostrom E. (2009), “Beyond Markets and States: Polycentric Governance of Complex Economic Systems”, The American Economic Review, 100(3), 641-672.
  • Tietenberg T. e L. Lewis (2016), Environmental & Natural Resorces Economics, Londra, Routledge.
Enrico Giovannetti
Professore di Politica Economica, insegna Economia e Politiche Ambientali preso il Dipartimento di Economia "Marco Biagi" (UNIMORE). Ha svolto ricerche sul mercato del lavoro, sull'economia dei settori produttivi, sul ruolo e le possibilità della microfinanza e dell'imprenditoria sociale come azione bottom-up di stimolo economico. In tempi recenti, il campo d’indagine ha compreso le conseguenze socio-economiche degli eventi estremi e i processi di degrado dei sistemi eco-sociali.

Progetto realizzato da

Fondazione Ermanno Gorrieri per gli studi sociali

Con il contributo di

Fondazione Cassa di Risparmio di Modena