Glossario

Il "Glossario delle disuguaglianze sociali" mira a realizzare una raccolta di voci specificamente dedicate alla problematica delle disuguaglianze economiche e sociali, nella prospettiva di uno strumento di conoscenza e di informazione di base, durevole e continuativo. Le voci presenti sul portale - curate da professori, ricercatori ed esperti sui temi di interesse del Glossario - rappresentano il solido inizio di un progetto sempre attivo e in continua espansione. Pertanto, se pensi che sia ancora assente nel Glossario qualche argomento di rilevo nello studio delle disuguaglianze sociali, non esitare a segnalarcelo (glossario@fondazionegorrieri.it).

Routinizzazione

Scritto da: Teresa Barbieri

 

Definizione

La cosiddetta ipotesi di routinizzazione (dall’inglese routinization hypothesis) è stata avanzata per la prima volta da Autor et al. (2003) per spiegare il progressivo processo di polarizzazione della struttura occupazionale, registrato già a partire dagli anni ‘80 negli Stati Uniti (Autor e Dorn, 2013). Più specificatamente, è stata registrata una crescente distruzione di posti di lavoro caratterizzati da livelli medi di competenze, accompagnata da una contestuale crescita di occupazioni sia altamente sia poco qualificate. Secondo i sostenitori dell’ipotesi di routinizzazione, lo sviluppo tecnologico riveste un ruolo principe nello spiegare questo processo di polarizzazione del mercato del lavoro. In particolare, le nuove tecnologie tenderebbero a rimpiazzare quei lavori che richiedono lo svolgimento di mansioni routinarie – ossia facilmente codificabili e, dunque, automatizzabili - e che sono usualmente collocati nella parte centrale della distribuzione delle competenze e dei salari. Secondo questa teoria, le nuove tecnologie non agirebbero come sostituto, ma anzi come complemento, per quei lavori altamente qualificati - come, ad esempio, professionisti o manager - che richiedono lo svolgimento di mansioni di tipo concettuale, analitico, decisionale, relazionale e, quindi, difficilmente automatizzabili. Il progresso tecnologico inoltre non intaccherebbe e, dunque, non sostituirebbe anche le professioni, tipicamente collocate nel settore dei servizi, poco qualificate caratterizzate dallo svolgimento di compiti di tipo manuale e non routinario.

 

Routinizzazione delle mansioni negli Stati Uniti e in Europa

L’ipotesi della routinizzazione delle mansioni è stata preconizzata negli Stati Uniti dove studi empirici, come pocanzi accennato, hanno ampiamente documentato una crescente polarizzazione del mercato del lavoro (Acemoglu e Autor, 2011; Autor e Dorn, 2013; Goos et al., 2014). Inoltre, sono state messe in evidenza anche le importanti implicazioni della progressiva polarizzazione del mercato del lavoro sullo sviluppo delle disuguaglianze (Autor et al., 2008; Lamieux, 2008). Negli Stati Uniti, ad esempio, la polarizzazione della struttura occupazionale è stata accompagnata da una crescita dei salari anch’essa polarizzata (Acemoglu e Autor, 2011). In particolare, è stata evidenziata una crescita dei percentili più alti e più bassi della distribuzione dei salari relativamente più veloce rispetto alla crescita di quelli centrali. Quindi, se da un lato aumenta la distanza tra i lavoratori più ricchi e i lavoratori a salario medio, dall’altro i lavoratori più poveri recuperano terreno rispetto a questi ultimi.

Per l’Europa, invece, i risultati ottenuti dalle verifiche empiriche sono stati vari e spesso in contrasto tra loro, portando a mettere in discussione la validità dell’ipotesi di routinizzazione e a svilupparne di alternative. Se alcuni studi hanno mostrato che anche in Europa la crescita occupazionale va concentrandosi sempre più ai due poli opposti della distribuzione occupazionale (Goos e Manning, 2007; Goos et al., 2009), altri hanno invece trovato andamenti della struttura occupazionale molto diversi tra Paesi (Fernandez-Macias, 2012; Oesch e Piccitto, 2019). La Figura 1 è tratta dal lavoro di Fernández-Macías (2012) e mostra l’evoluzione della struttura occupazionale in diversi Paesi Europei per il periodo 1995 - 2007. Le professioni sono state ordinate in base al salario mediano, scelto come proxy del livello di competenze richiesto. Gli occupati sono stati poi raggruppati in quintili di reddito: nel primo quintile sono posizionati i lavoratori occupati nelle professioni con reddito mediano più basso, mentre all’opposto troviamo gli occupati nelle professioni più redditizie. Sull’asse delle ordinate viene riportata la variazione percentuale, in termini di occupati, registrata in ciascun quintile occupazionale. Se l’andamento della struttura del mercato del lavoro fosse effettivamente polarizzato, i grafici dovrebbero rappresentare la tipica forma ad “U”, data da una crescita di occupazione nel primo e ultimo quintile relativamente più consistente rispetto a quella registrata nei quintili centrali. Dai grafici riportati nella figura 1 vediamo, invece, andamenti molto variegati e diversi tra Paesi: nella prima colonna sono riportati i Paesi la cui struttura occupazionale mostra segni, sebbene di diversa entità, di polarizzazione, nella seconda troviamo quei Paesi in cui a crescere sono le occupazioni più qualificate mentre, nell’ultima colonna, sono raggruppati i Paesi in cui si registrata anche un’importante espansione dell’occupazione collocata nei quintili centrali, quindi del tutto in contrasto con quanto predetto dall’ipotesi di routinizzazione.

 

Figura 1. Variazione percentuale degli occupati per quintile di reddito, 1995 – 2007

Fonte: Fernández-Macías (2012).

 

Queste nuove evidenze empiriche hanno quindi fatto insorgere alcuni dubbi circa la completa validità dell’ipotesi di routinizzazione, dubbi che si sono concentrati con particolare insistenza sull’importanza del ruolo rivestito dalla tecnologia come unico o più importante determinante dei cambiamenti della struttura occupazionale. Da qui lo sviluppo del cosiddetto filone “istituzionalista” che ha sottolineato come, se l’ipotesi di routinizzazione fosse valida, Paesi investiti dallo stesso processo di cambiamento tecnologico dovrebbero mostrare andamenti della struttura occupazionale simili. La varietà di risultati ha portato quindi a considerare che anche altri fattori, come ad esempio la tipologia di regime di welfare e le istituzioni del mercato del lavoro, possono rivestire un ruolo importante, se non centrale, nel determinare l’andamento della struttura occupazionale di un paese.

 

Riferimenti bibliografici

  • Acemoglu D., e D. Autor (2011), “Skills, tasks and technologies: Implications for employment and earnings”, Handbook of labor economics, 4, 1043-1171.
  • Autor D. H. e D. Dorn (2013), “The growth of low-skill service jobs and the polarization of the US labor market”, American Economic Review, 103(5), 1553-97.
  • Autor D. H., L. F. Katz e M. S. Kearney (2008), “Trends in US wage inequality: Revising the revisionists”, The Review of economics and statistics, 90(2), 300-323.
  • Autor, D. H., F. Levy e R. J. Murnane (2003), “The skill content of recent technological change: An empirical exploration”, The Quarterly journal of economics, 118(4), 1279-1333.
  • Fernández-Macías E. (2012), “Job polarization in Europe? Changes in the employment structure and job quality, 1995-2007”, Work and Occupations, 39(2), 157-182.
  • Goos M. e A. Manning (2007), “Lousy and lovely jobs: The rising polarization of work in Britain”, The review of economics and statistics, 89(1), 118-133.
  • Goos M., A. Manning e A. Salomons (2009), “Job polarization in Europe”, American economic review, 99(2), 58-63.
  • Goos M., A. Manning e A. Salomons (2014), “Explaining job polarization: Routine-biased technological change and offshoring”, American economic review, 104(8), 2509-26.
  • Lemieux T. (2008), “The changing nature of wage inequality”, Journal of Population Economics, 21(1), 21-48.
  • Oesch D. e G. Piccitto (2019), “The polarization myth: Occupational upgrading in Germany, Spain, Sweden, and the UK, 1992–2015”, Work and Occupations, 46(4), 441-469.

 

Suggerimenti di lettura

  • Braverman H. (1998), Labor and monopoly capital: The degradation of work in the twentieth century. New York, NYU Press.
  • Firpo S., N. Fortin e T. Lemieux (2011), “Occupational Tasks and Changes in the Wage Structure,” IZA Discussion Paper, 5542.
  • Frey C. B. e M. A. Osborne (2017), “The future of employment: How susceptible are jobs to computerization?”, Technological forecasting and social change, 114, 254-280.
  • Eurofound (2008), “More and Better Jobs: Patterns of Employment Expansion in Europe”, ERM Report 2008.
  • Eurofound (2015), Upgrading or polarization?: long-term and global shifts in the employment structure: European Jobs Monitor 2015.
  • Oesch D. e J. Rodríguez Menés (2011), “Upgrading or polarization? occupational change in Britain, Germany, Spain and Switzerland, 1990–2008”, Socio-Economic Review, 9(3), 503-531.
  • Wright E. O. e R. E. Dwyer (2003). “The patterns of job expansions in the USA: a comparison of the 1960s and 1990s”, Socio-Economic Review, 1(3), 289-325.
Teresa Barbieri
Teresa Barbieri è un’assegnista di ricerca presso la Sapienza Università di Roma. Si occupa principalmente dello studio delle disuguaglianze economiche.

Progetto realizzato da

Fondazione Ermanno Gorrieri per gli studi sociali

Con il contributo di

Fondazione Cassa di Risparmio di Modena