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Benessere soggettivo

Scritto da: Mario Lucchini

 

Introduzione

L’interesse per lo studio della felicità risale ai tempi dei filosofi dell’antica Grecia. Se in passato tale tema era trattato dalla filosofia, negli ultimi decenni sono state le scienze sociali a raccoglierne il testimone.

Negli anni ‘50 nell’ambito della psicologia prende avvio lo studio empirico del benessere soggettivo come reazione all’enfasi accordata agli stati mentali negativi. In economia, invece, l’interesse per tale argomento è scaturito dalla constatazione che tra benessere materiale e soggettivo esiste solo una parziale sovrapposizione (Diener et al., 1999; Frey e Stutzer, 2002). Nei paesi sviluppati si osserva che all’aumentare del reddito procapite la percentuale dei soggetti felici rimane tendenzialmente costante. Per spiegare tale stranezza sono state fornite molteplici spiegazioni, alcune delle quali hanno portato ad un ampliamento del paradigma di homo oeconomicus nella direzione delle componenti psicologiche e relazionali, trascurate dall’approccio neoclassico.

Lo studio del benessere soggettivo è debitore anche del movimento degli “indicatori sociali”, un approccio socio-psicologico che dalla metà degli anni ‘60 ha stimolato una riflessione su alcune importanti preoccupazioni della vita quotidiana, non direttamente inferibili dagli indicatori monetari.

Oggigiorno molti ricercatori e decisori pubblici appaiono sempre più interessati a comprendere quali siano le determinanti della felicità e come si possa agire su di esse per innalzare il benessere della popolazione.

L’ampia disponibilità di basi dati provenienti da indagini campionarie in diversi paesi del mondo ha spinto una pletora di scienziati sociali a studiare quali sono i fattori individuali (variabili socio-demografiche, di posizione sociale, tratti di personalità) e contestuali (Pil procapite, disoccupazione, inflazione, indici di disuguaglianza) che condizionano la felicità.

 

Come si misura il benessere soggettivo?

Nell’ambito delle scienze sociali il benessere soggettivo viene misurato rivolgendo direttamente ai soggetti una serie di domande che fanno riferimento sia a dimensioni cognitive (soddisfazione verso la vita) che a dimensioni emozionali positive (gioia e ottimismo) e negative (stress, ansia e depressione) (Diener et al., 1999). Vale la pena sottolineare che gli stati emozionali positivi e negativi non sono due facce della stessa medaglia. Ne è prova il fatto che tali stati appaiono solo moderatamente correlati. A tali aspetti che colgono la componente edonica del benessere se ne aggiungono altri che afferrano la componente eudaimonica e che rimandano ai sentimenti di autorealizzazione, autonomia, controllo, crescita personale e condotta virtuosa (Ryff e Keyes, 1995).

Ciò che è importante sottolineare è che gli indicatori che formano le scale di misurazione del benessere soggettivo si basano su indicatori soggettivi, ovvero sull’esperienza di benessere vissuta in prima persona e comunicata direttamente dai soggetti (Diener et. al., 1999; Frey e Stutzer, 2002). Con tali operativizzazioni si evitano, o perlomeno si contengono, le interferenze definitorie da parte del ricercatore.

Di contro l’approccio economico standard propende per una prospettiva più oggettiva e paternalistica, in quanto considera il benessere come una condizione valutabile in terza persona a partire dalle dotazioni reddituali e patrimoniali di cui il soggetto è in possesso.

Nelle indagini campionarie le informazioni sugli indicatori di benessere soggettivo vengono raccolte al momento dell’intervista e riguardano la condizione attuale del soggetto o tutt’al più quella riferita ad un periodo che non va oltre l’ultima settimana. Ci sono però approcci di misurazione, come il Day Reconstruction Method, proposto da Kahneman et al. (2004), che consentono la raccolta di informazioni in tempo reale, vale a dire nel corso della giornata vengono effettuate rilevazioni ripetute del benessere impiegando diari auto-compilati oppure strumenti tecnologici più sofisticati, come applicazioni su smartphone.

Oggigiorno è sempre più diffusa la convinzione che la felicità sia uno stato d’animo misurabile e suscettibile di confronti interpersonali. Recentemente la moderna neuroscienza ha accertato che variazioni nel benessere soggettivo sono associate a fenomeni neurofisiologici concreti e misurabili in terza persona. Utilizzando tecniche di scanner cerebrale (tomografia ad emissione di positroni e risonanza magnetica funzionale) si è rilevato che le emozioni positive riportate dai soggetti sono associate ad una maggior attività elettrica nell’area frontale sinistra dell’encefalo, mentre le emozioni negative ad una maggiore attività registrata nell’area frontale destra (Layard, 2005).

Una delle critiche più importanti che viene rivolta all’approccio del benessere soggettivo è che le misure soggettive possono rivelarsi distanti dalle condizioni oggettive, in quanto i soggetti tendono a adattarsi sia alle circostanze avverse sia a quelle favorevoli, sviluppando una “falsa rappresentazione” o “falsa coscienza” della loro reale condizione esistenziale.

 

I fattori di eterogeneità individuale

Un’ampia mole di ricerca empirica mette in luce una serie di fattori di livello individuale in grado di influenzare in modo significativo il benessere soggettivo (Frey e Stutzer, 2002).

Per quanto riguarda i fattori socio-demografici, tra età e benessere soggettivo osserviamo una relazione non lineare a forma di U. Più nello specifico, i giovani e gli anziani sarebbero mediamente più soddisfatti della loro vita rispetto agli adulti (Blanchflower e Oswald, 2008).

Livelli più alti di felicità si riscontrano nell’universo femminile, tra i soggetti più istruiti (Frey e Stutzer, 2002) e tra coloro che svolgono un lavoro autonomo (Layard, 2005).

La relazione tra reddito e benessere soggettivo appare, invece, decisamente più problematica: in linea di massima si rileva un’associazione positiva anche se l’intensità di tale parametro diminuisce al crescere del reddito. Un incremento di reddito comporta un innalzamento della felicità ma solo nel breve periodo; col passare del tempo tale effetto è destinato ad affievolirsi in quanto i soggetti, sviluppando un adattamento alla nuova situazione, rivedendo al rialzo le proprie aspettative ed aspirazioni. Il denaro sicuramente conta ma non tanto quanto ci si potrebbe aspettare.

Nei paesi sviluppati sembra che sia il reddito relativo piuttosto che il reddito assoluto ad esercitare un’influenza significativa sul benessere soggettivo (Easterlin, 1995). I soggetti appaiono istintivamente portati a valutare la propria situazione reddituale comparandola a quella di colleghi, amici, parenti e altri gruppi di riferimento (Layard, 2005).

I disoccupati mostrano livelli di benessere più bassi rispetto agli occupati e agli inattivi. Come è ampiamente risaputo, la disoccupazione comporta, al di là del mancato reddito, pesanti costi psicologici in termini di perdita di autostima e di beni relazionali (Frey e Stutzer, 2002). Nei contesti ove è alta la percentuale di soggetti disoccupati, l’effetto della disoccupazione sul benessere soggettivo dovrebbe rivelarsi meno pronunciato.

I soggetti sposati riportano livelli di benessere superiori rispetto ai single, ai separati, ai divorziati e ai vedovi (Blanchflower e Oswald, 2004). Emergono, invece, risultati contrastanti e meno chiari sulla relazione tra l’avere figli e il benessere soggettivo. La salute è sicuramente uno dei principali correlati al benessere. La salute auto-percepita, in particolare, rivelerebbe un maggior potere predittivo rispetto alla salute oggettiva. Non sorprende che i caratteri fondamentali della personalità siano fortemente correlati alle componenti del benessere soggettivo (Layard, 2005). Le persone aperte, coscienziose, estroverse e disponibili verso gli altri mostrano una maggior soddisfazione verso la vita.

Un contributo fondamentale alla comprensione del benessere ci proviene dalla genetica del comportamento che negli ultimi trent’anni ha accumulato un’ampia messe di dati empirici. Da tali studi condotti su campioni di soggetti di cui è nota la relazione di consanguineità (in genere gemelli omozigoti e dizigoti) emerge come i geni esercitino un forte condizionamento sul livello di benessere soggettivo. Per essere più precisi, circa il 50% della variazione nel benessere sarebbe da imputare all’azione dei geni, mentre l’ambiente familiare spiegherebbe una percentuale decisamente più bassa (Lykken e Tellegen, 1996).

Oggigiorno molti autori concordano nel ritenere che il livello di benessere sia un fenomeno che può subire oscillazioni, conseguentemente ad esperienze di successo (la vincita ad una lotteria) o ad eventi traumatici (un incidente che comporta una grave disabilità), ma che nel tempo è destinato a convergere verso una soglia naturale (in-built set point), ampiamente condizionata dalla dotazione genetica.

Altri fattori di eterogeneità che si correlano significativamente al benessere sono gli indicatori di capitale sociale. La felicità rappresenta infatti un fenomeno di rete. Le reti influenzano la diffusione di gioia, di ottimismo, di fiducia interpersonale e istituzionale e tutto ciò finisce per influire positivamente sul benessere dei soggetti. Due meccanismi fisiologici spiegherebbero la propensione degli umani ad associarsi e ad interagire per costruire beni relazionali. Il primo è rappresentato dal fatto che nel corso dell’interazione viene rilasciata ossitocina - l’ormone dell’amore - che favorisce la costituzione di legami con gli altri membri di un gruppo. Il secondo meccanismo è rappresentato dai neuroni specchio che ci consentono di immedesimarsi con altri significativi suscitando in noi una risposta empatica. Il corretto funzionamento di tali meccanismi è alla base della nostra capacità di creare beni relazionali.

Dai dati che derivano dall’European Social Survey e dal World Value Survey si evince che le interazioni sociali informali (attività gratuita in associazioni di volontariato), la fiducia verso altre persone e verso le istituzioni siano determinanti del benessere (Helliwell e Putnam, 2004). Al crescere del tempo trascorso con familiari e amici aumenta in modo proporzionale la soddisfazione verso la vita. Anche la partecipazione alla messa appare positivamente correlata al benessere soggettivo. Prendendo parte alle celebrazioni religiose i soggetti non solo attribuiscono significato alla propria esistenza ma hanno occasione di ampliare le loro reti sociali e di stemperare i sentimenti di ansia e di depressione.

Anche le attività ricreative e in particolare l’attività fisica praticata in modo sistematico e in compagnia di amici si associa positivamente al benessere psicofisico e costituisce un importante antidoto contro i sintomi di ansia e di depressione.

 

I fattori di eterogeneità contestuale

In genere i livelli più elevati di benessere soggettivo sono osservati nei paesi democratici, caratterizzati da prosperità economica, da un solido sistema di welfare, da una maggior tutela dei diritti umani e da un’elevata partecipazione politica e sociale. Anche la fiducia istituzionale rappresenta un ottimo predittore dei livelli di felicità. Se dovessimo stilare una classifica dei paesi più felici al primo posto troveremmo i paesi scandinavi, la Svizzera, l’Olanda e il Canada, mentre al basso le nazioni africane come Burundi, Tanzania, Yemen, Rwanda.

Il Pil mostra una relazione curvilinea con il benessere (Inglehart e Klingermann, 2000). L’effetto del Pil sulla felicità media è molto forte in corrispondenza delle nazioni povere ma si affievolisce man mano che cresce il reddito nazionale. Altro dato degno di nota è che negli ultimi ‘50 anni nelle economie avanzate si è osservato un incremento del Pil a cui però non ha corrisposto un pari incremento della felicità media. Secondo gli economisti della felicità la crescita economica porterebbe ad un rapido adattamento edonico e a un conseguente innalzamento delle aspirazioni, cosicché il livello di felicità finisce per rimanere costante. Per descrivere tale meccanismo in letteratura si utilizza la metafora del soggetto che corre su un tappeto rullante (hedonic treadmill) che rimane sempre al medesimo punto (Easterlin, 1995; Kahneman, 1999).

In Europa all’aumentare della disuguaglianza di reddito diminuisce la felicità mentre negli Stati Uniti accade l’esatto contrario (Layard, 2005).

L’importante ruolo giocato dai fattori contestuali si desume dalle brusche variazioni nei livelli di benessere osservate in alcuni paesi che nel giro di qualche decennio hanno sperimentato un drammatico declino politico o una crisi finanziaria e che non possono essere ricondotte a variazioni di stampo genetico. In Russia tra il 1981 e il 1995 osserviamo una brusca diminuzione di soggetti soddisfatti della loro vita che passano dall’80% al 40% a causa dei cambiamenti profondi intervenuti in quegli anni (crisi economica, spinte indipendentistiche, conflitti etnici).

 

Considerazioni conclusive

L’assunto di base di tale approccio del benessere soggettivo è che i soggetti siano in grado di valutare le proprie vite, di esprimere il loro livello di benessere e di comunicarlo in modo valido e attendibile senza bisogno di un esperto. Rimane però aperta la questione se il soggetto abbia l’informazione necessaria per valutare quali siano le componenti fondamentali di una “vita buona”. Non è raro che si delineino fenomeni di adattamento e di falsa rappresentazione delle reali condizioni di esistenza tra coloro che pur versando in condizioni di deprivazione economica e relazionale riportano alti livelli di felicità. All’opposto può capitare che i soggetti si trovino a vivere condizioni particolarmente favorevoli in termini di salute, denaro, reti di supporto amicale e parentale e che, ciononostante, si sentano infelici. Una maggior apertura dell’approccio del benessere soggettivo ad aspetti oggettivi dell’esperienza potrebbe irrobustire ulteriormente tale prospettiva paradigmatica, contrastando i fenomeni che abbiamo definito di “adattamento” e di “falsa coscienza”.

Il lavoro, il reddito, l’istruzione, la salute, i beni relazionali sono tutti fattori che si associano a livelli mediamente più alti di felicità. Va però precisato che a tali associazioni è difficile attribuire un significato causale. Di fatto ci potrebbe essere una relazione causale ribaltata che lega i fattori menzionati al benessere, per cui i soggetti più felici hanno maggiori probabilità di trovare lavoro, di realizzare elevati guadagni, di costruire beni relazionali o di godere di buona salute. È molto difficile, e forse addirittura impossibile, disporre di dati e di strategie analitiche per identificare la corretta direzione della causalità.

In conclusione, possiamo affermare che lo studio della felicità e delle sue determinanti è importante in quanto ormai assodato che stati d’animo positivi protratti nel tempo ci fanno vivere meglio e più a lungo (Layard, 2005).

 

Riferimenti bibliografici

  • Blanchflower D. G. e A. J. Oswald (2008), “Is Well-being U-Shaped over the Life Cycle?”, Social Science & Medicine, 66(8), 1733-1749.
  • Diener E., E. M. Suh, R. E. Lucas e H. L. Smith (1999), “Subjective Well-Being: Three Decades of Progress”, in Psychological Bulletin, 125(2), 276-302.
  • Easterlin R. (1995), “Will Raising the Incomes of All Increase the Happiness of All?”, Journal of Economic Behavior and Organization, 27(1), 35-48.
  • Frey B. S. e A. Stutzer (2002), Happiness in Economics, Princeton, Princeton University Press.
  • Helliwell J. e R. Putnam (2004), “The Social Context of Well-Being”, Philosophical Transactions of the Royal Society, 359(1449), 1435-1446.
  • Kahneman D., A. B. Kreuger e D. A. Schkade (2004), “A survey method for characterizing daily life experience: The day reconstruction method”, Science, 306, 1776-1780.
  • Inglehart R. e H. D. Klingemann (2000), “Genes, culture, democracy, and happiness”, in E. Diener e E. M. Suh (a cura di), Culture and subjective well-being, 185-218, Cambridge, MIT Press.
  • Layard R. (2005), Happiness: Lessons From a New Science, New York, Penguin.
  • Lykken D. e A. Tellegen (1996), “Happiness Is a Stochastic Phenomenon”, Psychological Science, 7(3), 186-189.
  • Ryff C. e C. Keyes (1995), “The structure of psychological well-being revisited”, Journal of Personality and Social Psychology, 69, 719-727.

 

Suggerimenti di lettura

  • Alesina A., R. Di Tella e R. MacCulloch (2004), “Inequality and Happiness: Are Europeans and Americans Different?”, Journal of Public Economics, 88(9), 2009-2042.
  • Bjørnskov C. (2008), “Social Capital and Happiness in the United States”, Applied Research Quality Life, 3(1), 43-62.
  • Brickman P., D. Coates e R. Janoff-Bulman (1978), “Lottery winners and accident victims: is happiness relative?”, Journal of Personality and Social Psychology, 36(8), 917-927.
  • Christakis N. A. e J. H. Fowler (2008), “The Collective Dynamics of Smoking Behaviour in a Large Social Network”, New England Journal of Medicine, 358(21), 2249-2258.
  • Crivelli L., S. Della Bella e M. Lucchini (2016), “Happiness and health”, in L. Bruni e P. L. Porta (a cura di), Handbook of research methods and applications in happiness and the quality of life, 372-399, Cheltenham, Edward Elgar Publishing.
  • Davidson R. J. (2000), “Affective style, psychopathology, and resilience: Brain mechanisms and plasticity”, American Psychologist, 5(11), 1196-1214.
  • Diener E. e S. Oishi (2000), “Money and happiness: Income and subjective well-being across nations”, in E. Diener e E. M. Suh (a cura di), Culture and subjective well-being, 185-218, Cambridge, MIT Press.
  • Frey B. S. e C. Frey Marti (2012), Economia della felicità, Bologna, Il Mulino.
  • Kahneman D. (1999), “Objective Happiness”, in D. Kahneman, E. Diener e N. Schwarz (a cura di), Well-Being: The Foundations of Hedonic Psychology, 3-25, New York, Russell Sage Foundation.
  • Lucchini M. (2015), “Capitale Sociale e soddisfazione verso la vita nell’Italia contemporanea”, POLIS, 29(1), 5-31.
Mario Lucchini
Mario Lucchini è professore associato presso il Dipartimento di Sociologia e ricerca sociale dell'Università di Milano Bicocca. Ha condotto studi e ricerche sui temi della povertà, della mobilità sociale, della salute e del benessere. Attualmente insegna Metodologia della ricerca sociale presso il corso di laurea in Scienza dell'organizzazione e Analisi multivariata presso il corso di laurea magistrale in Sociologia. Coordina inoltre l'Indagine Longitudinale sulle Famiglie Italiane (ILFI).

Progetto realizzato da

Fondazione Ermanno Gorrieri per gli studi sociali

Con il contributo di

Fondazione Cassa di Risparmio di Modena