Glossario

Il "Glossario delle disuguaglianze sociali" mira a realizzare una raccolta di voci specificamente dedicate alla problematica delle disuguaglianze economiche e sociali, nella prospettiva di uno strumento di conoscenza e di informazione di base, durevole e continuativo. Le voci presenti sul portale - curate da professori, ricercatori ed esperti sui temi di interesse del Glossario - rappresentano il solido inizio di un progetto sempre attivo e in continua espansione. Pertanto, se pensi che sia ancora assente nel Glossario qualche argomento di rilevo nello studio delle disuguaglianze sociali, non esitare a segnalarcelo (glossario@fondazionegorrieri.it).

Inoccupazione

Scritto da: Bernardo Fanfani

 

Definizione

Per inoccupazione si intende la condizione di coloro che non hanno mai lavorato e sono alla ricerca di un primo impiego. Il fenomeno dell’inoccupazione è strettamente legato alle dinamiche della disoccupazione giovanile e all’incidenza dei NEET (giovani senza occupazione e che non stanno acquisendo né un’educazione formale, né altra tipologia di addestramento o formazione). Un’elevata inoccupazione rappresenta un problema non solo nel breve periodo, in quanto fenomeno che implica un mancato ingresso al lavoro dei giovani ed un loro impoverimento (su questo punto, si noti che le misure di sostegno al reddito sono tipicamente rivolte a chi ha avuto un lavoro in passato). Diverse evidenze mostrano infatti che le conseguenze negative dovute all’esser stati disoccupati all’inizio della carriera tendono a perdurare nel tempo, traducendosi in una minore occupazione anche in età più avanzate, soprattutto per individui a bassa qualifica (si veda ad esempio Burgess et al., 2003). L’inoccupazione può inoltre comportare una crescita nelle diseguaglianze future anche a causa dei possibili effetti sull’accesso alla pensione di vecchiaia, per la quale viene tipicamente richiesto un lungo periodo di contribuzione.

L’incidenza della disoccupazione giovanile (e quindi anche dell’inoccupazione) appare particolarmente marcata nel caso italiano, se confrontata coi livelli osservati nei maggiori paesi europei (Figura 1). Questo dato è infatti sempre oscillato al di sopra del 30% in Italia nel corso dell’ultimo decennio, toccando livelli di poco inferiori a quelli registrati in Spagna, ma comunque ben al di sopra di quanto si osserva in paesi come la Francia, la Gran Bretagna e soprattutto la Germania, dove questo dato si è sempre attestato al di sotto del 10% tra il 2010 e il 2019.

 

Figura 1. Tasso di disoccupazione giovanile (15-24). Anni 2010-2019

Fonte: European Labour Force Survey.

 

Il caso della Germania come modello per ridurre l’inoccupazione

La positiva esperienza tedesca viene solitamente attribuita alla presenza di un sistema scolastico efficace nel garantire un rapido inserimento dei giovani nel mercato del lavoro. Più precisamente, la disponibilità di numerose opportunità di apprendistato e di addestramento al lavoro, che consentono di ridurre il problema della dispersione scolastica offrendo ottime possibilità di alternanza scuola-lavoro, sembrano essere le caratteristiche di questo sistema educativo più efficaci nel prevenire l’inoccupazione, riducendo l’incidenza dei NEET e della disoccupazione giovanile (Cahuc et al., 2013). Il sistema tedesco si basa inoltre su una rete di politiche attive del lavoro ben sviluppate, che consentono ai giovani disoccupati l’accesso a efficaci percorsi di formazione e inserimento nel mercato del lavoro (su questo punto, per una rassegna sull’efficacia di diverse tipologie di politiche attive nel contrastare la disoccupazione giovanile, si veda Caliendo et al., 2016).

Un fattore potenzialmente associato alla difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro dei giovani è la presenza del salario minimo, che potrebbe ridurre la domanda per quei lavori meno qualificati che spesso costituiscono il primo impiego (Neumark et al., 2008). Da questo punto di vista, l’introduzione nel 2015 di un salario minimo in Germania non sembra aver prodotto vistosi effetti aggregati, anche se mancano ancora analisi più approfondite in relazione agli effetti specifici di questa riforma sull’occupazione giovanile. Tuttavia, nel contesto europeo spesso il salario minimo coesiste con sistemi più complessi di regolamentazione degli stipendi, come la contrattazione collettiva. Su questo tema, studi recenti mostrano come la crescita salariale nei contratti collettivi italiani sia associata a minori opportunità occupazionali soprattutto per i giovani, con effetti invece molto più blandi o nulli nel caso dei lavoratori più anziani (Fanfani, 2020).

 

Possibili cause del tasso di inoccupazione in Italia

L’alto tasso di disoccupazione giovanile italiano registrato nell’ultimo decennio è in parte ascrivibile anche a fattori ciclici, come l’entrata in vigore di riforme che hanno gradualmente alzato l’età di accesso alla pensione e, soprattutto, la crisi economica che ha caratterizzato la prima parte di questo decennio. Da questo punto di vista, l’elevata incidenza di contratti a termine tra i giovani li rende infatti molto più esposti alle dinamiche del ciclo economico e della domanda di lavoro (Leonardi et al., 2015). La presenza di un dualismo tra lavoratori a termine e impiegati a tempo indeterminato sembra produrre effetti ambivalenti sui giovani. Se da una parte i contratti a tempo determinato sono comunque un’alternativa migliore della disoccupazione per i giovani guardando alle loro prospettive lavorative future, ciò è vero soprattutto per chi continua la propria carriera all’interno della stessa azienda (Berton et al., 2011). In questo contesto, sarebbe quindi importante prevedere per i giovani assunti a tempo determinato l’accesso a percorsi di formazione più generali rispetto alla semplice acquisizione delle competenze strettamente necessarie per il proprio lavoro.

 

Riferimenti bibliografici

  • Berton F., F. Devicienti, e L. Pacelli (2011), “Are temporary jobs a port of entry into permanent employment?: Evidence from matched employer-employee data”, International Journal of Manpower, 32(8), 879-899.
  • Burgess S., C. Propper, H. Rees, e A. Shearer (2003), “The class of 1981: the effects of early career unemployment on subsequent unemployment experiences”, Labour Economics10(3), 291-309.
  • Cahuc P., S. Carcillo, U. Rinne, e K. F. Zimmermann (2013), “Youth unemployment in old Europe: the polar cases of France and Germany”, IZA Journal of European Labor Studies2(1), 18.
  • Caliendo M. e R. Schmidl (2016), “Youth unemployment and active labor market policies in Europe”, IZA Journal of Labor Policy5(1), 1.
  • Fanfani B. (2020), “The employment effects of collective bargaining”, DISCE - Working Papers del Dipartimento di Economia e Finanza n. 095, Università Cattolica del Sacro Cuore.
  • Leonardi M. e G. Pica (2015), “Youth unemployment in Italy”, in J. Dolado (a cura di), No country for young people? Youth labour market problems in Europe, 89-104, London, CEPR Press.
  • Neumark D. e W. Wascher (2008), Minimum wages, Cambridge, MIT Press.

 

Suggerimenti di lettura

  • Caliendo M. e R. Schmidl (2016), “Youth unemployment and active labor market policies in Europe”, IZA Journal of Labor Policy5(1), 1.
  • J. Dolado (a cura di), No country for young people? Youth labour market problems in Europe, London, CEPR Press, 2015.
Bernardo Fanfani
Bernardo Fanfani è assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Economia e Finanza dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Si occupa di economia del lavoro, studiando temi come le diseguaglianze salariali, il divario salariale di genere, gli effetti della contrattazione collettiva su lavoratori e imprese. Ha conseguito il dottorato di ricerca in economia presso l’Università di Torino e il Collegio Carlo Alberto ed è stato visiting student reseracher presso la University of California, Berkeley.

Progetto realizzato da

Fondazione Ermanno Gorrieri per gli studi sociali

Con il contributo di

Fondazione Cassa di Risparmio di Modena