Glossario

Il "Glossario delle disuguaglianze sociali" mira a realizzare una raccolta di voci specificamente dedicate alla problematica delle disuguaglianze economiche e sociali, nella prospettiva di uno strumento di conoscenza e di informazione di base, durevole e continuativo. Le voci presenti sul portale - curate da professori, ricercatori ed esperti sui temi di interesse del Glossario - rappresentano il solido inizio di un progetto sempre attivo e in continua espansione. Pertanto, se pensi che sia ancora assente nel Glossario qualche argomento di rilevo nello studio delle disuguaglianze sociali, non esitare a segnalarcelo (glossario@fondazionegorrieri.it).

Secondo welfare

Scritto da: Franca Maino

 

Definizione

Il termine “secondo welfare”, ormai entrato nel vocabolario comune di chi si occupa di politiche sociali, comprende tutte quelle forme di protezione e investimento sociale – non direttamente o non esclusivamente sostenute dal Pubblico attraverso il welfare state – realizzate da attori privati, parti sociali ed Enti del Terzo Settore. Stakeholder che intervengono a vario titolo per contribuire a fornire soluzioni e risposte ai rischi e ai bisogni sociali emergenti, mobilitando anche risorse non pubbliche. L’elemento distintivo è il ruolo che soggetti non pubblici (profit e non profit) - soprattutto considerati collettivamente - possono svolgere, collaborando con le istituzioni pubbliche (in particolare a livello locale) e all’interno di reti multiattore, nel processo di rinnovamento del sistema di welfare italiano. Quello riconducibile al secondo welfare è un quadro concettuale volutamente ampio e inclusivo, pensato per tenere insieme la complessità dei cambiamenti che investono settori, funzioni e territori in risposta alle molteplici transizioni in corso, da quella demografica a quella riguardante la struttura familiare, da quella ecologica alla transizione digitale. A questa cornice è possibile riportare le molte definizioni utilizzate per inquadrare alcune delle principali articolazioni del welfare: sussidiario, aziendale, contrattuale, integrativo, mutualistico, comunitario, di prossimità, generativo, responsabile, societario (Maino, 2022).

Alla luce dell’evoluzione che ha conosciuto e delle sue manifestazioni più recenti, possiamo definirlo come un insieme di interventi e misure che – tramite un mix di protezione e/o investimento sociale - intendono offrire risposte innovative a bisogni sociali insoddisfatti e si affiancano al primo welfare, di natura pubblica e obbligatoria. Questo grazie all’apporto di risorse private (finanziarie, ma anche ideative e organizzative) provenienti da una vasta gamma di attori economici e sociali che agiscono in reti territoriali ma sono aperti alle collaborazioni trans-locali. Tre sono i tratti distintivi del secondo welfare: il coinvolgimento di attori non pubblici e la ridefinizione del loro ruolo all’interno dell’arena del welfare; l’innovazione sociale di prodotto e di processo; l’empowerment. L’apertura del welfare ad attori non pubblici corrisponde all’evidenza che siano sempre più numerosi gli attori di Mercato e del Terzo Settore che si affiancano a quelli pubblici, con i quali, specialmente a livello locale, avviano collaborazioni per intervenire nelle aree di bisogno meno tutelate dal welfare state. Facendo propri i principi di sussidiarietà orizzontale e verticale, le interazioni che si realizzano fra questi soggetti tendono a dar vita a forme di governance multiattore che in vario modo provano ad aprirsi alla rappresentanza degli interessi di cui sono portatori i diversi stakeholder e assetholder. Può trattarsi della ripartizione dei poteri decisionali fra diversi livelli istituzionali sulla base di competenze specifiche e/o dell’adozione di una logica decisionale a rete (piuttosto che gerarchica) e di processi di negoziazione e di progettazione partecipata fino a prevedere, quando possibile, strumenti di co-gestione e co-produzione dei servizi. L’esito è quindi una governance collaborativa in cui il coinvolgimento di attori privati nei processi decisionali e attuativi è finalizzato a rendere più efficaci le risposte di policy a un problema complesso (Ansell e Gash, 2008).

Le attività messe in campo da questi attori si caratterizzano per l’obiettivo di generare innovazione sociale (BEPA, 2010; per coglierne i nessi rispetto al secondo welfare si veda Maino, 2017), co-progettando e co-producendo nuovi beni e servizi, modificando (o creando) sistemi di governance in grado di definire linee programmatiche, sperimentando modalità di intervento ritenute adeguate ai problemi attuali. Le iniziative di secondo welfare sono poi contraddistinte dall’intenzione di favorire l’empowerment dei beneficiari, incentivando partecipazione, responsabilizzazione e co-progettazione e, dove possibile, anche co-produzione e co-finanziamento dei servizi. Il concetto di empowerment è inteso come possibilità di espansione delle opzioni di azione e di scelta da parte delle persone (Sen, 1985) e, più specificatamente, degli utenti nel caso dei servizi sociali. Solo modificando le capabilities degli individui è possibile trasformare realmente i loro percorsi di vita e dare loro maggiori opportunità di scelta su cosa fare della propria vita presente e futura. In questa prospettiva, per quanto riguarda i servizi e le prestazioni sociali, l’attenzione è rivolta sempre più a far incontrare domanda (i bisogni) e offerta (gli interventi da attuare), attraverso il ricorso a piattaforme (digitali e fisiche) di marketplace e di ricomposizione sociale (Longo e Maino, 2021). Nella prospettiva del secondo welfare, i processi di empowerment si risolvono in un’assunzione di responsabilità che si realizza anche a livello collettivo e riguarda gli stessi fornitori di servizi.

 

Primo e secondo welfare: quale nesso?

Per comprendere l’ambito d’azione dei protagonisti del secondo welfare occorre indagare la natura del rapporto con il “primo welfare”. A quest’ultimo, di natura pubblica e obbligatoria, afferiscono prestazioni e servizi considerati “essenziali” per una sopravvivenza decorosa, il godimento dei diritti di cittadinanza e un’adeguata integrazione delle persone nella comunità (previdenza e sanità pubblica, ammortizzatori sociali, schemi di reddito minimo). Il secondo welfare, invece, ricomprende – nel campo delle pensioni e della salute – forme di protezione sociale volontaria e integrativa, nonché quella parte di servizi sociali che spesso il settore pubblico non è in grado di garantire per fronteggiare i nuovi rischi legati, ad esempio, alla non autosufficienza, alla precarietà lavorativa, ai problemi di conciliazione tra vita personale e lavorativa. Il tutto nell’alveo del Pilastro Europeo dei Diritti Sociali (adottato nell’aprile 2017), che ha definito venti principi e diritti fondamentali a supporto del buon funzionamento e dell’equità dei mercati del lavoro e dei sistemi di protezione sociale, da tutelare in ogni Stato membro e distribuiti lungo l’arco della vita.

L’interazione tra primo e secondo welfare va compresa anche alla luce del manifestarsi di rischi e bisogni sociali nel corso della vita. Risulta così possibile collocare i programmi del primo welfare e quelli integrativi/aggiuntivi del secondo sia dal punto di vista dei corsi di vita individuali, sia da quello dei rischi e dei bisogni tipici di ogni fase. Il corso di vita si può suddividere in tre momenti principali – gli anni che precedono l’ingresso nel mondo del lavoro, quelli della vita attiva e quelli della vecchiaia, a partire dall’uscita dal mercato del lavoro – a loro volta scomponibili in sotto-fasi. Accanto ai programmi e agli schemi del primo welfare, per queste fasi è possibile individuare numerosi servizi e interventi riconducibili al secondo welfare.

Primo e secondo welfare non sono dunque da considerare come due mondi contrapposti e impermeabili. Sono piuttosto sfere che, in funzione delle aree di policy e dei bisogni, sfumano l’una nell’altra e in cui la seconda, sussidiariamente, si configura come integrativa anziché sostitutiva rispetto alla prima. In quest’ottica, tenendo presenti i tre tratti che lo caratterizzano, l’approccio allo studio del secondo welfare non può che essere pragmatico e sempre attento a cogliere le specificità dei contesti territoriali e di policy in cui le singole esperienze prendono forma (Maino e Razetti, 2019). Questo permette di dare conto dei processi e degli esiti osservati, di segnalare le esperienze virtuose, di mettere in luce i possibili “incastri distorti” con il welfare pubblico, a partire dal rischio che lo Stato arretri o non riesca ad avanzare in settori dove dovrebbe continuare a essere centrale, per ragioni sia di equità che di efficienza (Maino e Ferrera, 2017).

Proprio il welfare locale nella sua evoluzione più recente si è dimostrato un campo in cui si sono sperimentate e, in un numero crescente di casi anche consolidate, esperienze di secondo welfare, frutto di collaborazioni tra attori diversi e di condivisione di risorse differenti. Prima la crisi del 2008 e poi l’emergenza pandemica hanno determinato una pressione senza precedenti che ha rivelato tanto l’enorme potenziale d’innovazione e riconfigurazione organizzativa a cui possono accedere le amministrazioni pubbliche e le comunità locali, quanto i limiti e l’insostenibilità dell’assetto tradizionale. Rispetto a questi, è noto che i sistemi di welfare locale sono spesso caratterizzati da una grande distanza tra i nuovi bisogni e le risorse pubbliche disponibili e si occupano prevalentemente degli stessi target da almeno tre decenni; sono invece deboli o assenti nelle nuove emergenze sociali e nella prevenzione. Prevalgono logiche di servizio per categorie di prestazioni e target omogenei, in un sistema pubblico largamente basato su trasferimenti monetari alle famiglie e non su servizi in funzione dei bisogni. Sistemi che hanno progressivamente abbandonato la produzione diretta di servizi, contrattualizzando soggetti privati con logiche di finanziamento legate agli input e non ai risultati (outcome), contribuendo alla diffusione di un ampio mercato informale della cura, più vasto di quello formale.

La portata di entrambe le crisi sembra aver “imposto” agli attori territoriali, pubblici e non, di modificare il proprio approccio tradizionale al welfare per affrontare nel modo più efficace possibile i cambiamenti in atto. Attualmente gli enti locali si troverebbero nella posizione ideale per assumere un ruolo centrale nella promozione di partnership pubblico-privato mirate al ripensamento del welfare giocando il ruolo di facilitatori dell’innovazione e insieme di garante dei diritti sociali, esistenti ed emergenti. In quest’ottica le partnership locali tra attori pubblici e privati si sono dimostrate una strada promettente, oltre che appropriata, per fornire risposte alle domande non adeguatamente coperte dall’offerta standard di servizi sociali e/o per individuare nuovi modelli di regolazione e produzione di beni pubblici, in grado di fronteggiare meglio i problemi legati all’implementazione delle politiche. Possono inoltre essere il canale per incentivare l’inclusione e la partecipazione di una pluralità di attori anche nella fase progettuale, in modo tale da prevenire potenziali conflitti e veti, raggiungendo così il più ampio consenso possibile anche nella successiva fase di attuazione. E possono, infine, porre l’accento sulla volontà di conciliare interessi e visioni differenti per trovare soluzioni che favoriscano l’aggregazione della domanda.

 

Punti di forza e criticità

In questi anni, indagando l’emergere e il consolidarsi del secondo welfare sono stati in particolare presi in considerazione attori e organizzazioni che fanno capo a reti plurali che fungono da cerniera tra il cittadino e i decisori pubblici locali, intermediando tra di essi. Sono soggetti che alimentano la riflessione e il dibattito, che promuovono e realizzano progettualità e buone pratiche, che mediano e mettono i cittadini in contatto con le istituzioni, che rappresentano gli interessi e svolgono un ruolo di advocacy. Un contesto in cui è particolarmente visibile il coinvolgimento di una pluralità di formazioni sociali di vario genere è quello dei cosiddetti progetti di welfare di prossimità, avviati anche grazie ai fondi provenienti da fondazioni ed enti filantropici. Questi fondi hanno spinto attori diversi a collaborare, prima per progettare insieme proposte innovative e sostenibili, e successivamente per realizzarle. In questo modo il welfare di prossimità ha iniziato a diffondersi e a radicarsi territorialmente, creando una fitta rete di connessioni e relazioni generatrici di capacity building e valore condiviso, che stanno contribuendo al rinnovamento del welfare sociale.

Questi casi mostrano come gli attori economici e sociali abbiano avviato un processo di riflessione interna che li sta motivando a ripensare mission e ruolo, a trasformare la loro organizzazione e a ridefinire l’offerta di servizi (o a metterne in campo una nuova), spostando sui territori e nelle comunità la loro operatività, che negli anni passati si era molto indebolita. La visione sussidiaria che è andata diffondendosi anche grazie alle riforme della Pubblica Amministrazione di fine anni Novanta, alla riforma costituzionale del 2001 e alla riforma del Terzo Settore del 2017 ha, seppur lentamente, indotto i diversi attori a reinventarsi, intervenendo sempre di più nella sfera del welfare locale. Non solo è cambiato il ruolo degli attori “più tradizionali”, ma abbiamo anche assistito all’ingresso di nuovi protagonisti: ne sono un esempio gli attori del welfare aziendale. Queste reti multiattore oggi concorrono all’infrastrutturazione del welfare, in particolare promuovendo il ricorso a strumenti in grado di generare interconnessioni. Si pensi ad esempio alle piattaforme, sia digitali, come quelle usate per gestire i piani di welfare aziendale o i progetti di prossimità, che territoriali, che ruotano intorno a sportelli di varia natura, in cui gli operatori sono a disposizione di chi esprime bisogni e cerca soluzioni.

Lo sviluppo del secondo welfare è tuttavia ritenuto da alcuni una “minaccia” all’idea del pubblico come sfera privilegiata, o addirittura esclusiva, del welfare e dell’universalismo, inteso come unico approccio in grado di garantire l’equità. Quest’idea si scontra però con la realtà e con quanto dimostrato dalla ricerca empirica. Una ricca letteratura ha evidenziato limiti e difetti dello stato sociale italiano. Parallelamente, è da considerare la possibilità che solidarietà e benessere vengano garantiti seguendo percorsi differenti. Seguendo questa linea di ragionamento, il secondo welfare è chiamato a esercitare una funzione di stimolo positivo nei confronti del primo, contribuendo a un ripensamento dei modelli organizzativi e delle pratiche tradizionali ri-orientando la protezione sociale fino a trasformarla, in alcuni ambiti e soprattutto a livello locale, in “promozione sociale”.

Ci sono ampi margini perché le reti multiattore accrescano il loro potenziale di infrastrutturazione e, nella cornice del secondo welfare, assumano un ruolo sempre più strategico. In questi margini si annidano però pericoli di cui tenere conto. In primo luogo il rischio di generare frammentazione: tanto più alto quanto meno attori e soggetti intermedi sono capaci di aggregarsi, sia internamente, sia unendo le forze anche con i possibili competitor. A questo si aggiunge poi il rischio di tutelare bisogni già ampiamente coperti dal primo welfare. C’è poi la sfida dell’aggregazione dei bisogni, per ampliare la platea dei potenziali finanziatori nonché dei destinatari di misure e interventi. Il tema della ricomposizione delle risorse pubbliche e private è un nodo che andrebbe affrontato contando sull’apporto di risorse ideative e finanziarie – nella fase di progettazione e in quella attuativa – di una pluralità di attori che cooperano per rendere operative le misure adottate. A oggi lo sforzo di ricomposizione delle risorse appare invece modesto, sia per il prevalere di resistenze e dinamiche conflittuali interne, sia per la difficile interlocuzione con le istituzioni pubbliche a livello nazionale e locale.

Se nel corso degli anni Novanta il “welfare mix” si era perlopiù limitato a implementare le politiche tramite l’esternalizzazione dei servizi da parte delle amministrazioni pubbliche o il finanziamento degli interventi, nell’ultimo decennio il ruolo e il coinvolgimento di attori privati nel campo del welfare sono diventati molto più articolati. A seconda delle loro caratteristiche, questi soggetti tendono oggi a realizzare azioni in modo mirato e strategico, meno “generico” ed episodico, dando vita a esperienze significative e, sempre più spesso, a veri e propri modelli d’intervento e di governance collaborativa.

 

Riferimenti bibliografici

  • Ansell C. e A. Gash (2008), “Collaborative Governance in Theory and Practice”, Journal of Public Administration Research and Theory, 18(4), 543-571.
  • Bepa – Bureau of European Policy Advisers (2010), Empowering People, Driving Change: Social Innovation in the European Union, Luxembourg, Publication Office of the European Union.
  • Longo F. e F. Maino (2021), Platform Welfare. Nuove logiche per innovare i servizi locali, Milano, Egea.
  • Maino F. (2013), “Tra nuovi bisogni e vincoli di bilancio: protagonisti, risorse, innovazione sociale”, in F. Maino e M. Ferrera (a cura di), Primo Rapporto sul secondo welfare in Italia 2013, 17-46, Torino, Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi.
  • Maino F. (2015), “Secondo welfare e territorio: risorse, prestazioni, attori, reti”, in F. Maino e M. Ferrera (a cura di), Secondo Rapporto sul secondo welfare in Italia 2015, 16-42, Torino, Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi.
  • Maino F. (2021, a cura di),  Il ritorno dello Stato Sociale? Mercato, Terzo Settore e comunità oltre la pandemia. Quinto Rapporto sul secondo welfare in Italia, Torino, Giappichelli.
  • Maino F. (2022), “Il secondo welfare”, in C. Gori (a cura di), Le politiche del welfare sociale, 220-233, Roma, Carocci.
  • Maino F. e M. Ferrera (2017), “Conclusioni. Il secondo welfare oltre la crisi: segnali di radicamento e di cambiamento sistemico”, in F. Maino e M. Ferrera (a cura di), Terzo Rapporto sul secondo welfare 2017, 271-292, Torino, Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi.
  • Sen A.K. (1985), Commodities and Capabilities, New York, North-Holland.

 

Suggerimenti di lettura

  • Carra L., Milazzo N., Cima S., Bianchi M. e M. Mori (2022, a cura di), Sostenibilità, diritti, innovazione sociale, Milano, Milano University Press.
  • Maino F. (2017), “Secondo welfare e innovazione sociale in Europa: alla ricerca di un nesso”, in F. Maino e M. Ferrera (a cura di), Terzo Rapporto sul secondo welfare in Italia 2017, 19-42, Torino, Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi.
  • Maino F. e F. Razetti (2019), “Un rinnovato protagonismo per stakeholder e corpi intermedi? Il secondo welfare, tra evoluzioni concettuali e sviluppi empirici”, in F. Maino e M. Ferrera (a cura di), Nuove Alleanze in un welfare che cambia. Quarto Rapporto sul secondo welfare in Italia 2019, 23-47, Torino, Giappichelli.
Franca Maino
Franca Maino è Professoressa associata presso il Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università degli Studi di Milano e dirige il Laboratorio Percorsi di secondo welfare. È membro del Comitato di direzione di Stato e Mercato e della Rivista Italiana di Politiche Pubbliche. Fa parte del Comitato scientifico dell’Alleanza contro la Povertà, del Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza, della Fondazione Welfare Ambrosiano, di Assoprevidenza e della Fondazione PICO. I suoi principali campi di ricerca sono la politica sociale comparata con particolare riferimento alle trasformazioni recenti dello stato sociale e al ruolo di attori non pubblici.

Progetto realizzato da

Fondazione Ermanno Gorrieri per gli studi sociali

Con il contributo di

Fondazione Cassa di Risparmio di Modena