Glossario

Il "Glossario delle disuguaglianze sociali" mira a realizzare una raccolta di voci specificamente dedicate alla problematica delle disuguaglianze economiche e sociali, nella prospettiva di uno strumento di conoscenza e di informazione di base, durevole e continuativo. Le voci presenti sul portale - curate da professori, ricercatori ed esperti sui temi di interesse del Glossario - rappresentano il solido inizio di un progetto sempre attivo e in continua espansione. Pertanto, se pensi che sia ancora assente nel Glossario qualche argomento di rilevo nello studio delle disuguaglianze sociali, non esitare a segnalarcelo (glossario@fondazionegorrieri.it).

Rifugiato politico

Scritto da: Roberta Ricucci

 

Definizione

Negli ultimi trent’anni importanti flussi migratori sono divenuti allo stesso tempo parte integrante della quotidianità di paesi storicamente di emigrazione, come l’Italia, e oggetto di un complesso e contradditorio rapporto con la società delle nazioni di arrivo. In questo ambito la confusione in merito ai corretti termini da usare è enorme; spesso le etichette vengono usate in modo disinvolto, senza comprendere che dietro ogni condizione (e quindi definizione) vi sono diritti, prospettive di permanenza o motivi che possono portare al rimpatrio.

Lasciando da parte le grandi categorie delle migrazioni per lavoro e dei ricongiungimenti familiari, qui richiamiamo l’ambito delle cosiddette migrazioni forzate, definizione che racchiude quelle di profugo, richiedente asilo e rifugiato. Intrinsecamente legati, tali termini non sono sinonimi. Il profugo è in senso ampio colui o colei che lascia il proprio paese in quanto forzato da eventi esterni, distinguendosi così, almeno in teoria, da chi parte per cercare di costruire una migliore condizione socio-economica per se e la sua famiglia. All’interno di questa categoria, il richiedente asilo definisce chi presenta una domanda di protezione, secondo quanto previsto dalla normativa internazionale. La condizione di rifugiato rappresenta il riconoscimento di uno status giuridico, ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951. L’art. 1 definisce come rifugiato: “[…] chiunque, nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato”. Si tratta quindi dell’ultimo tassello di un ipotetico percorso che parte dal profugo per diventare richiedente asilo sino ad acquisire una condizione legalmente forte nel paese di arrivo.

Le evoluzioni più recenti – a testimonianza della difficoltà di normare e governare la mobilità umana – hanno previsto ulteriori forme di protezione per i migranti forzati. Come tali si intendono coloro che non dimostrano di rientrare appieno nei requisiti definiti dalla Convenzione di Ginevra e, soprattutto, non hanno documentazione, racconti, prove sufficienti per comprovare situazioni di rischio per la persona. Sono stati infatti definiti due nuovi concetti giuridici:

  • La protezione sussidiaria, garantita a chi non dimostri di aver subito una persecuzione personale ai sensi dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra del 1951, ma provi il rischio, rientrando nel paese di origine, di subire un danno grave. Quest’ultimo può fare riferimento alla condanna a morte o all’esecuzione, alla tortura o altra forma di trattamento inumano, alla minaccia grave e individuale alla vita derivante dalla violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato interno o internazionale (per il contesto italiano, si veda il Decreto Legislativo n. 251/2007);
  • La protezione umanitaria. Istituita in Italia nel 1998, è stata usata nei casi in cui il richiedente non dimostri di avere i requisiti per le altre sopra menzionate forme di protezione, ma allo stesso tempo vi siano motivi umanitari (di salute, di età, rischio di trovarsi in situazioni gravi per disastri ambientali, umanitarie al rientro) che giustificano la permanenza sul territorio. Tale istituto è stato abolito dal Decreto Legge 4 ottobre 2018, n. 113, “Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, e sicurezza pubblica”. Tale norma, nota come “Decreto Salvini” ha introdotto un permesso di soggiorno per “protezione speciale” solo nel caso sia provato il rischio di persecuzione o il rischio di tortura (ASGI, 2018).

 

Un fenomeno mondiale

Nata all’indomani della catastrofe delle II Guerra Mondiale, che costrinse a lasciare la propria patria milioni di persone, la Convenzione di Ginevra del 1951 prendeva in considerazione la condizione dei profughi europei del dopoguerra, alla ricerca di una patria dove ricostruire biografie e progetti familiari. Timorosi di essere destinatari di molte richieste di accoglienza, alcuni stati (come gli USA) non ratificarono la Convenzione. Nel tempo, il susseguirsi di vicende storiche ha reso evidente che le motivazioni per lasciare il proprio paese non si arrestavano. Accanto ai conflitti bellici altri motivi si affiancavano, rendendo opportuno allargare il concetto e le previsioni di protezione di chi era costretto a diventare profugo, “displaced”, migrante forzato.

Nel 1967 fu siglato a New York un documento più ampio, il Protocollo relativo allo status dei rifugiati, firmato nello stesso anno dagli Stati Uniti. Era ormai chiaro come il bisogno di protezione non si esaurisse né si confinasse ai fatti accaduti in Europa. Cinquant’anni dopo, circa quaranta nazioni restano fuori dal sistema Convenzione-Protocollo: tra di esse Arabia Saudita, Corea del Nord, India, Indonesia, Malesia, Nigeria, Pakistan, Thailandia, Vietnam.

Secondo i dati dell’UNHCR (United Nation High Commission for Refugee), principale agenzia e fonte sul tema, a fine 2017 il numero di migranti forzati era di 68,5 milioni, di cui 25,4 rifugiati, 40 fra uomini, donne e bambini profughi e 3,1 richiedenti asilo. Numeri significativi di un fenomeno mondiale, la cui sovra rappresentazione nei media italiani ed europei rischia di distorcere nella percezione (Tabella 1).

 

Tabella 1. Popolazione rifugiata nelle regioni definite da UNHCR. Anno 2017

Regioni UNHCR

Rifugiati

(incluse persone in situazione paragonabile a quella di rifugiato)

Variazione

% sul totale a fine 2017

inizio 2017

fine 2017

V.A.

%

 

Africa Centrale

e regione dei grandi laghi

1.381.000

1.475.700

93.800

6,8

 7

Africa Orientale

e Corno d’Africa

3.290.400

4.307.800

1.017.400

30,9

22

Africa del Sud

162.100

197.700

35.600

22,0

 1

Africa Occidentale

300.600

286.900

- 13.700

-4,6

 1

Totale Africa*

5.135.100

6.268.200

1.133.100

22,1

31

Americhe

682.700

644.200

- 38.500

-5,6

 3

Asia e Pacifico

3.477.800

4.209.700

731.900

21,0

21

Europa

5.200.200

6.114.300

914.100

17,6

31

di cui: Turchia

2.869.400

3.480.300

610.900

21,3

17

Medio Oriente e Africa del Nord

2.679.500

2.704.900

25.400

0,9

14

Totale

17.175.300

19.941.300

2.766.000

 16,1

100

Note: * esclusa Africa del Nord.
Fonte: UNHCR, 2018.

 

Se il conflitto siriano ha contribuito in modo significativo a questo aumento, negli ultimi cinque anni si sono registrati altri grandi spostamenti, spesso meno conosciuti. In particolare, flussi di sfollati hanno riguardato Burundi, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, Iraq, Myanmar, Sud Sudan, Sudan, Ucraina, e Yemen. Un fenomeno globale, che ha in Turchia, Pakistan, Uganda, Libano e Iran i primi cinque paesi per numero di rifugiati nel 2017 (Tabella 1). Attenzione alle etichette: si tratta di rifugiati. Se si passa al numero di domande di asilo, ecco allora un’altra classifica: 1,7 milioni di domande nel 2017, suddivise principalmente fra USA, Germania, Italia e Turchia. Ad aggiungere un elemento di preoccupazione è il dato in crescita dei minori fra i rifugiati: dal 2009 al 2017, la cifra è passata dal 41% al 52%. Fra questi, 173.800 sono minori non accompagnati (UNHCR, 2018).

 

Un tema centrale per l’Europa, al di là dei numeri

I numeri in crescita, il carico sostenuto soprattutto da alcuni paesi e la resistenza di altri all’accoglienza, hanno messo il tema dell’asilo al centro dell’agenda politica europea dei media.

I dati riguardanti la concessione dello status di protezione sul territorio dell’Unione Europea confermano una certa eterogeneità fra i diversi paesi. Nel 2017 hanno ottenuto lo status di rifugiato (riferito a circa la metà dei casi) 271.600 persone, mentre 189.000 hanno ricevuto protezione sussidiaria (35% del totale) e 77.500 la protezione umanitaria (14%), che come già ricordato è concessa sulla base della legislazione nazionale (Tabella 2). Oltre il 60% delle domande accettate è stato presentato in Germania (325.400). Seguono Francia (40.600), Italia (35.100), Austria (34.000) e Svezia (31.200). In media circa la metà delle istanze di protezione sono accolte positivamente; i tassi di riconoscimento differiscono in modo notevole a seconda delle cittadinanze (ad esempio oltre il 90% delle domande di cittadini siriani ed eritrei sono accolte in prima istanza).

 

Tabella 2. Domande di asilo accolte nel 2017. Totale UE e paesi membri

 

Numero totale*

Di cui:

 

Numero

Per milione di abitanti **

Rifugiati

Protezione sussidiaria

Motivi umanitari

Rifugiati reinsediati

UE

538.120

1.050

271.630

188.960

77.530

23.925

Belgio

12.895

1.135

9.945

2.950

-

1.310

Bulgaria

1.705

240

800

905

-

0

Repubblica Ceca

145

15

25

120

5

0

Danimarca

2.750

480

1.525

1.180

45

5

Germania

325.370

3.945

154.485

120.465

50.420

3.015

Estonia

95

70

50

45

0

20

Irlanda

720

150

605

45

70

275

Grecia

12.015

1.115

9.925

1.130

955

0

Spagna

4.700

100

605

4.090

5

1.490

Francia

40.575

605

24.405

16.170

-

2.620

Croazia

170

40

140

30

0

40

Italia

35.130

580

6.275

8.835

20.015

1.515

Cipro

1.300

1.520

235

1.065

0

0

Lettonia

275

140

40

235

-

40

Lituania

295

105

275

20

0

0

Lussemburgo

1.130

1.915

1.085

45

-

180

Ungheria

1.290

130

105

1.110

75

0

Malta

815

1.770

190

610

10

15

Olanda

9.090

530

3.505

4.820

760

2.265

Austria

33.925

3.865

24.320

8.805

805

380

Polonia

560

15

150

370

40

0

Portogallo

500

50

120

380

-

0

Romania

1.330

70

875

455

0

45

Slovenia

150

75

140

15

-

0

Repubblica Slovacca

60

10

0

20

40

0

Finlandia

4.255

775

2.935

845

475

1.090

Svezia

31.235

3.125

15.215

13.595

2.425

3.410

Regno Unito

15.645

240

13.640

620

1.385

6.210

Note: - Non applicabile; * Decisioni positive in prima istanza e decisioni finali in appello; ** Con riferimento alla popolazione residente il 1° gennaio 2017.
Fonte: Eurostat (2018).

 

Che la questione migratoria rappresenti un tema delicato nella costruzione europea è noto da tempo: erano gli anni Ottanta quando si iniziò a discutere di una possibile politica migratoria comune. Il timore di un’Europa presa d’assalto da migranti (in particolare musulmani) in cerca di lavoro mettendo a repentaglio le opportunità disponibili per gli stessi cittadini degli stati membri era ben più di qualcosa nell’aria. E ancora oggi, uno dei timori ricorrenti nel recente dibattito sui profughi a livello europeo si riferisce alla presenza di persone che migrano per lavoro (cosiddetti migranti economici) fra coloro che richiedono una forma di protezione umanitaria. Tale elemento può essere messo in relazione con la progressiva chiusura delle possibilità di migrare regolarmente per motivi di lavoro: in questo ambito specifico, i singoli stati europei hanno mantenuto larga autonomia per quanto riguarda le politiche di ingresso e i diritti da concedere, compresa la procedura per l'acquisizione della cittadinanza.

È opportuno ricordare che sul tema dei migranti forzati, l’Unione Europea nel 1999 si è impegnata a promuovere un sistema europeo di asilo (CEAS), sulla base della Convenzione di Ginevra del 1951. Uno dei punti cardine di questo processo è la convenzione di Dublino, entrata in vigore nel 1997 e riformata in momenti successivi. È tale regolamento che di fatto governa i meccanismi e, quindi, l’onere dell’accoglienza, attraverso il regime del cosiddetto “primo Paese UE sicuro in cui il profugo entra e presenta domanda di asilo, divenendo richiedente”. Un vincolo sia per il paese sia per il migrante, che non può decidere né in quale Stato presentare domanda né muoversi liberamente all’interno dell’UE. In tali casi, si prevede il re-invio forzato alla nazione di ingresso in Europa del migrante, competente per l’esame della richiesta d’asilo (Schiavone, 2015). Ed è questo il nodo della questione, che i paesi di “primo approdo”, Italia in testa, da tempo cercano di rimettere in discussione. Il flusso continuo di arrivi di profughi che, – una volta sul suolo italiano (ma non solo) – divenivano richiedenti asilo e quindi vincolati a quanto previsto dalle regole di Dubino, ha fatto crescere le tensioni e le divisioni all’interno nel consesso europeo. I paesi più esposti (Italia e Grecia soprattutto) hanno chiesto di condividere l’onere dell’accoglienza, distribuendo gli arrivi fra i diversi paesi membri. Risale al 2015 la definizione da parte dal Consiglio Europeo di un “Programma di relocation”. In base a questo atto ogni Stato dell’Unione avrebbe dovuto accogliere una quota percentuale degli arrivi in Grecia e in Italia. Si prevedeva il ricollocamento di profughi con una procedura di richiesta d’asilo avviata. La polemica politica che ha seguito questa decisione ne ha ridotto fortemente la sua operatività. In particolare, i paesi raccolti nel cosiddetto “gruppo di Visegrad” (Repubblica Ceca, Polonia, Slovacchia e Ungheria) non hanno accolto che poche unità di rifugiati. Va per completezza detto che anche nazioni apparentemente più aperte sul tema, non hanno nei fatti accolto la quota loro assegnata. Un altro tassello è stato aggiunto nel marzo 2016: l’accordo fra UE e Turchia ha ridotto la rotta balcanica; nell’immediato, un effetto perverso è stato il nuovo orientamento degli itinerari, con un aumento dei flussi verso l’Italia. Altrimenti detto, i cambiamenti nella gestione della questione a livello internazionale hanno importanti implicazioni sulla dimensione dei flussi. In questo scenario, si inserisce l’accordo fra lo Stato italiano e interlocutori libici (in una situazione istituzionale estremamente complessa e frammentata), volto a ridurre la pressione sulle rotte del Mediterraneo, cosi come lo sono gli accordi di riammissione con alcuni paesi africani. In parallelo sono proseguite e – al momento della chiusura del contributo – arenate, le discussioni a livello europeo per la riforma dell’accordo di Dublino e delle procedure di ricollocamento dei migranti arrivati nei paesi più esposti. L’opposizione di alcuni Stati a qualsiasi forma di condivisione o la richiesta di altri di rendere obbligatoria l’accoglienza nel primo paese sicuro di approdo ha prodotto uno stallo nell’azione di governo, “gonfiando le vele dei partiti anti-immigrazione che in questi anni – complici le conseguenze della crisi economico-finanziaria iniziata nel 2008 – hanno potuto raccogliere consensi fra elettori formati sul tema più da slogan che dalla reale comprensione di numeri, procedure, opportunità” (Ricucci, 2018: 7).

Focalizzando l’attenzione sul solo caso italiano, il tema dell’asilo non è certo questione recente. Albanesi ed ex Jugoslavi negli anni Novanta furono protagonisti di arrivi “in cerca di protezione”. E fu proprio l’esperienza dei profughi kosovari e della loro accoglienza, a cui di fatto venne riconosciuto lo statuto di “sfollato di guerra”, a porre le basi del Piano Nazionale Asilo, che sarà poi ampliato e strutturato nello SPRAR, il Sistema per la Protezione di Richiedenti Asilo e Rifugiati a partire da quanto previsto dalla stessa Legge n. 39/2002, la cosiddetta Bossi-Fini, nota, d’altra parte per avere introdotto “pesanti restrizioni, non solo nei confronto degli immigrati, come l'abolizione delle possibilità di ingresso in Italia per cercare un lavoro sulla base di una sponsorship e l'aumento della detenzione amministrativa da 30 a 60 giorni, ma anche nei confronti dei richiedenti asilo, introducendo gravi restrizioni alla loro tutela legale” (Hein, 2010: 70). Il punto di svolta però è avvenuto nel 2011: infatti, fino agli arrivi consistenti di quell’anno, conseguenza alle Primavere Arabe, l’Italia non si percepiva come Paese d’asilo ed effettivamente le domande di asilo nel nostro Paese avevano sempre fatto rilevare cifre modeste soprattutto se comparate con le nazioni del Centro e Nord Europa. Numeri importanti, gestiti come un’emergenza, senza progettualità a lungo termine, né percorsi di accompagnamento. Il precipitare della situazione in Siria, affiancato ad altre situazioni di fuga in Africa e la destabilizzazione della Libia sono fra le cause che hanno dal 2014 in poi aperto un canale robusto e continuativo di arrivi. Non è più una situazione contingente da affrontare secondo logiche emergenziali: il sistema SPRAR viene potenziato, affiancato dai CAS – Centri di Accoglienza Straordinaria, dando vita – almeno sulla carta – a un sistema di accoglienza per fasi (da quella del primo soccorso all’arrivo, alla fase di prima accoglienza nei CAS alla fase finale di seconda accoglienza, orientata verso percorsi di integrazione), la cui nascita si deve anche alla ricezione di una direttiva europea in merito (la n. 2013/33/Ue, attuata con Decreto Legislativo n. 142/2015) (Campomori, 2016).

Si coglie come le norme che hanno affrontato il tema siano in gran parte atti di recepimento delle direttive dell’Unione Europea. In passato la scarsa attenzione delle istituzioni era in un certo senso giustificabile dell’essere di fatto un paese di transito per i migranti che vi arrivavano. Nel 2018, con un’immigrazione strutturale e strutturante le diverse realtà della penisola e con numeri di richiedenti asilo significativi, questo alibi non pare più plausibile (Idos-Unar, 2018).

 

Riferimenti bibliografici

  • ASGI (2018), Le modifiche in tema di permesso di soggiorno conseguenti all’abrogazione dei motivi umanitari e sull’art. 1, D.L. 113/2018, consultazione 31 ottobre 2018. Link
  • Campomori F. (2016), “Le politiche per i rifugiati in Italia, dall’accoglienza all’integrazione: missione impossibile?”, Working Papers OCIS, 2.
  • Eurostat (2018), Asylum decisions in the EU. EU Member States granted protection to more than half a million asylum seekers in 2017. Almost one-third of the beneficiaries were Syrians, Eurostat Newsrelease n. 67, Bruxelles, Eurostat.
  • Hein C. (2010, a cura di), Rifugiati. Vent'anni di storia del diritto d'asilo in Italia, Roma, Donzelli Editore.
  • Idos-Unar (2018), Dossier Statistico Immigrazione. Rapporto 2017, Roma, Ed. Idos.
  • Ricucci R. (2018), “Arrivare non è tutto. Barriere invisibili nel passaggio da migranti a cittadini”, in G. Borgognone G. et al. (a cura di), Dalla caduta del Muro ai nuovi muri, Torino, Utet.
  • Schiavone G. (2015), “Verso dove va il sistema di asilo in Europa e in Italia?”, in ASGI (a cura di), Il diritto di asilo tra accoglienza ed esclusione, 236-237, Roma, Edizioni dell’Asino.
  • UNHCR (2018), Global trends. Forced displacement in 2017, Ginevra, UNHCR.

 

Suggerimenti di lettura

  • Ambrosini M. (2018), Irregular Immigration in Southern Europe, Basingstoke (UK), Palgrave Macmillan.
  • AA.VV. (2017) “Who Counts in Crises? The New Geopolitics of International Migration and Refugee Governance”, Geopolitics, 23(1), 217-243.
  • Hatton T.J. (2017), “Refugees and asylum seekers, the crisis in Europe and the future of policy”, Economic Policy, 32(91), 447-496.
  • Sciortino G. (2016), “Politiche dell’asilo: una prospettiva storica”, il Mulino, 4, 659-666.
Roberta Ricucci
Roberta Ricucci è docente presso l’Università di Torino e Research Fellow a FIERI. Esperta in migration e muslim diaspora studies, ha coordinato ricerche in Italia e all’estero sui percorsi di inserimento delle seconde generazioni e sul nesso fra migrazione e religioni. Fra le sue pubblicazioni, si citano Diversi dall’islam. Figli dell’immigrazione e altre fedi (il Mulino, 2017) e Cittadini senza cittadinanza. La questione dello ius soli (Seb27, 2018).

Progetto realizzato da

Fondazione Ermanno Gorrieri per gli studi sociali

Con il contributo di

Fondazione Cassa di Risparmio di Modena