Glossario

Il "Glossario delle disuguaglianze sociali" mira a realizzare una raccolta di voci specificamente dedicate alla problematica delle disuguaglianze economiche e sociali, nella prospettiva di uno strumento di conoscenza e di informazione di base, durevole e continuativo. Le voci presenti sul portale - curate da professori, ricercatori ed esperti sui temi di interesse del Glossario - rappresentano il solido inizio di un progetto sempre attivo e in continua espansione. Pertanto, se pensi che sia ancora assente nel Glossario qualche argomento di rilevo nello studio delle disuguaglianze sociali, non esitare a segnalarcelo (glossario@fondazionegorrieri.it).

Povertà alimentare

Scritto da: Franca Maino

 

 

 

Definizione

La povertà alimentare si definisce come l’incapacità degli individui di accedere ad alimenti sicuri, nutrienti e in quantità sufficiente per garantire una vita sana e attiva rispetto al proprio contesto sociale. Questa definizione discende dalla definizione di sicurezza alimentare (food sicurity) proposta dalla FAO, durante il World Food Summit del 1996. È garantita la sicurezza alimentare nella misura in cui tutte le persone, in qualsiasi momento, hanno accesso fisico, economico e sociale ad alimenti sufficienti, sicuri e nutrienti così da soddisfare le proprie necessità e preferenze alimentari, oltre che una vita sana e attiva (FAO, 1996). Vi sono quindi quattro condizioni che determinano la sicurezza alimentare (FAO, 2008):

  • la disponibilità di cibo che attiene alla quantità di cibo che deve essere sufficiente a soddisfare le necessità della popolazione di riferimento. Questo significa che i livelli di produzione, stoccaggio e commercio devono garantire un’adeguata disponibilità di alimenti per rispondere alle esigenze di tutti i membri di una data popolazione;
  • l’accessibilità al cibo che riguarda la capacità della popolazione di riferimento di esprimere un’adeguata domanda di cibo e di poterne anche fruire. Le condizioni logistiche (come la presenza di strutture di distribuzione) devono permettere di accedere facilmente al cibo e, nel contempo, il reddito disponibile deve essere sufficiente per acquistare alimenti in quantità e di qualità adeguata;
  • l’utilizzabilità del cibo che riguarda la capacità di una data popolazione di utilizzare il cibo in modo tale da garantirsi una dieta equilibrata e adeguata agli stili di vita del contesto in cui vive. Qui il punto è se il cibo accessibile e disponibile sia anche utilizzabile in modo corretto perché le persone possiedono appropriate conoscenze di nutrizione di base e dispongono di acqua potabile e servizi igienico-sanitari adeguati;
  • la stabilità che attiene al fatto che il cibo sia disponibile, accessibile e utilizzabile in modo continuativo generando così una condizione di sicurezza alimentare permanente.

L’assenza di una o più condizioni determina una situazione di insicurezza alimentare (food insecurity), che può essere transitoria o cronica a seconda della durata, e più o meno grave a seconda dell’intensità dei fenomeni ad essa connessi. Le conseguenze possono quindi essere più o meno pesanti: l’insicurezza può comportare l’emergere della fame, associata ad una sensazione di disagio e dolore causata da insufficiente consumo di cibo, o di fenomeni di malnutrizione, determinati da carenze, eccessi o squilibri nel consumo di alimenti (FAO, 2008).

Tornando alla povertà alimentare, l’Agenda globale per lo sviluppo sostenibile, approvata dalle Nazioni Unite il 25 settembre 2015, ha indicato “sconfiggere la fame” come il secondo obiettivo tra i 17 Sustainable Development Goals (SDGs) da raggiungere entro il 2030. Un obiettivo che sembra ancora ben lontano visto che il numero di persone che soffrono la fame continua a crescere e ha raggiunto 828 milioni di persone nel 2021. Il rapporto The State of Food Security and Nutrition in the World 2022 – realizzato da FAO, IFAD, WFP, Unicef, OMS - sottolinea che si tratta di un aumento di circa 46 milioni di persone dal 2020 e 150 milioni dallo scoppio della pandemia di Covid-19 (FAO et al., 2022). I dati evidenziano anche che circa 2,3 miliardi di persone (29,3%) hanno vissuto in condizioni di insicurezza alimentare moderata o grave nel 2021, 350 milioni in più rispetto a prima dello scoppio della pandemia.

I fattori che determinano la povertà alimentare variano a seconda del contesto di riferimento. Mentre nei paesi in via di sviluppo si registrano problemi riguardanti tutte e quattro le condizioni indicate sopra – disponibilità, accessibilità, utilizzabilità e stabilità del cibo –, nei paesi sviluppati le problematiche di tipo alimentare sono invece connesse prima di tutto alla condizione economica e alla trasformazione della povertà in un fenomeno multidimensionale e, in secondo luogo, al corretto utilizzo degli alimenti. Nelle nazioni ricche, infatti, i problemi alimentari non sono riconducibili alla scarsità delle risorse disponibili, ma piuttosto a una loro iniqua distribuzione. Si tratta del cosiddetto “paradosso della scarsità nell’abbondanza” (Campiglio e Rovati, 2009) che riguarda l’impossibilità di alcune fasce della popolazione di accedere a risorse adeguate al proprio sostentamento nonostante la (sovra)abbondanza di alimenti all’interno del contesto in cui vivono. In Europa, a causa della crisi del 2008 e poi della pandemia che hanno contribuito all’aumento della povertà, sia assoluta sia relativa, negli ultimi anni si è registrato una crescita significativa delle persone che vivono in condizioni di indigenza e faticano ad accedere a cibo quantitativamente e qualitativamente sufficiente alle proprie necessità alimentari e al mantenimento dello stile di vita medio dei paesi sviluppati (ActionAid 2021).

 

La povertà alimentare in Italia

Veniamo ora all’Italia per provare a quantificare il peso della povertà alimentare nel nostro Paese. Tra gli indicatori che l’Eurostat utilizza per definire il tasso di persone che si trovano in uno stato di grave deprivazione materiale si considerata anche «l’incapacità di permettersi un pasto con carne o pesce (o equivalente vegetariano) ogni due giorni». In base agli ultimi dati disponibili, nel 2020 gli italiani che dichiaravano di trovarsi in questa situazione erano pari al 9,1% della popolazione residente (Database Eurostat). Rispetto al 2008, quando erano il 7,6%, si è registrato un aumento significativo che ha visto il suo picco nel 2012 quando le persone incapaci di procurarsi un pasto adeguato almeno ogni due giorni erano pari al 17% della popolazione. Se l’Italia si è mantenuta comunque al di sotto della media UE fino al 2010, da allora si è assistito a un aumento impressionante di questo indicatore che, seppur in diminuzione dal 2013, si mantiene oggi al di sopra della media degli altri paesi membri. In una situazione peggiore si trovano la Grecia (12,4%) e i paesi entrati nell’Unione Europea con gli ultimi allargamenti (Bulgaria, 25,9%; Romania, 14,7%; Ungheria, 12,8%; Slovacchia, 11,8%; Lituania, 16,6%; Lettonia, 9,4%), mentre paesi come Danimarca (2,3%), Spagna (5,4%) e Francia (7,2%) presentano livelli molto inferiori a quelli italiani.

L’incidenza della povertà alimentare nel nostro paese può essere misurata anche grazie alle rilevazioni Istat sulla capacità delle famiglie di acquistare una serie di beni alimentari considerati essenziali per permettere uno stile di vita minimamente accettabile. Questa dimensione, che concorre a comporre l’indice di povertà assoluta, viene calcolata sulla base di un modello dietetico di riferimento individuale, definito in base a genere ed età, in grado di fornire i nutrimenti necessari all’organismo umano. Un’analisi di questi dati è stata svolta nel 2015 da Gisella Accolla, che ha quantificato il livello di povertà alimentare delle famiglie italiane concentrando l’attenzione su quei nuclei familiari che si trovavano al di sotto della soglia di povertà assoluta stabilita dall’Istat e, allo stesso tempo, presentavano una spesa alimentare inferiore alla soglia assoluta riferita alla sola componente alimentare. Ne è risultato che nel 2013 vi erano 1.737.000 famiglie (pari al 6,6% dei nuclei familiari residenti in Italia), circa 1 milione in più rispetto al 2007, quando la quota era pari al 3%. In termini individuali si trattava di quasi 5,5 milioni di persone, il 9,1% dei residenti in Italia (Accolla, 2015). I poveri alimentari si concentravano principalmente nelle regioni del Sud, dove ben il 10,6% delle famiglie residenti era colpita dal fenomeno, contro il 4,8% del Centro e il 5,1% del Nord. A essere particolarmente esposti alla povertà alimentare erano (e sono) i minori. I dati indicano che l’11,9% della popolazione nella fascia 0-5 anni, il 13,7% della fascia 6-14 e il 13% della fascia 15-17 viveva in famiglie caratterizzate da una situazione di povertà alimentare: dati molto superiori alla media nazionale, pari al 9,1% della popolazione. Complessivamente dei 5,5 milioni di persone che vivevano in condizioni di povertà alimentare circa 1.300.000 erano quindi minorenni (Accolla, 2015).

È questa una tendenza confermata anche dai dati di AGEA, l’Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura che, prima col PEAD e ora col FEAD gestisce l’erogazione degli aiuti alimentari provenienti dall’Unione Europea a sette enti caritativi italiani (Associazione Banco Alimentare di Roma Onlus, Associazione Sempre Insieme per la pace, Caritas italiana, Comunità di Sant’Egidio, Croce Rossa Italiana, Fondazione Banco Alimentare Onlus e Fondazione Banco delle Opere di Carità) che, tramite le proprie associate e le reti di cui dispongono, si occupano di distribuirle ai più bisognosi. Il FEAD (Fund for European Aid to the Most Deprived) è il Fondo di aiuti europei agli indigenti che sostiene gli interventi promossi dai 28 paesi dell’UE finalizzati alla fornitura di assistenza materiale: generi alimentari, abiti e altri beni per l’igiene e la cura personale. Alla fine del 2014, con l’approvazione del relativo Programma operativo da parte della Commissione Europea, il FEAD ha sostituito anche in Italia il PEAD (Programma per la distribuzione di derrate alimentari agli indigenti). Le risorse messe a disposizione dal FEAD per il periodo compreso tra inizio 2014 e fine 2020 ammontano a 595 milioni di euro, a cui si è aggiunto un cofinanziamento da parte dell’Italia pari a 118,3 milioni di euro. Nel 2020 il FEAD ha raggiunto circa 2 milioni e 660 mila beneficiari, di cui 539 mila bambini dai 0 ai 15 anni. Circa il 60% delle risorse del FEAD è riservata agli aiuti alimentari agli indigenti per assicurare una continuità con il PEAD e affinché non venga meno il sostegno diretto ai bisogni primari (sul passaggio dal PEAD al FEAD e sulla dimensione locale della lotta alla povertà alimentare tra pubblico e privato si rimanda a Maino et al., 2016).

Una delle conseguenze più visibili dell’aumento della povertà assoluta che ha caratterizzato gli ultimi anni è stata la richiesta di aiuti alimentari da parte delle famiglie in difficoltà. Una ricerca promossa nel 2017 da TuttoFood e realizzata dal Censis indicava - a cinque anni dal picco della crisi del 2008 e in epoca pre-pandemia - in oltre 2 milioni le famiglie italiane in povertà alimentare, che si trovavano nella condizione di poter spendere per beni alimentari risorse inferiori rispetto a una soglia standard accettabile (Censis e TuttoFood, 2017). L’indagine evidenziava che, nell’ultimo decennio, il numero di famiglie prive di denaro sufficiente per mangiare in alcuni periodi dell’anno era aumentato del 57% e che le famiglie che non potevano permettersi un pasto a base di carne o pesce almeno una volta ogni due giorni erano cresciute dell’87% (1,4 milioni di nuclei familiari in più). Coldiretti invece sottolineava, sulla base dei dati sugli aiuti alimentari previsti dal FEAD, che nel 2017 avessero richiesto un aiuto in beni alimentari 2,7 milioni di persone in povertà assoluta assistite dalle oltre 10.600 organizzazioni territoriali impegnate nella distribuzione dei beni garantiti dal programma europeo. Tra le categorie più deboli di indigenti si contavano 455mila bambini di età inferiore ai 15 anni, quasi 200mila anziani over 65 e circa 100mila senza fissa dimora (Coldiretti, 2018).

Passando a considerare il biennio pandemico, secondo i dati forniti dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali sono state 2.645.064 (+27,3% rispetto al 2019) le persone che hanno usufruito degli aiuti alimentari nell’ambito del FEAD (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, 2021). ANCI (Associazione Nazionali Comuni Italiani) ha stimato che siano state 4,3 milioni (7% della popolazione) le persone che hanno ricevuto i primi 400 milioni di euro in buoni spesa previsti dalle misure urgenti di solidarietà alimentare adottate dal Governo italiano durante il primo lockdown (ActionAid, 2021). A questi dati dobbiamo aggiungere individui e famiglie raggiunti dalle moltissime iniziative di solidarietà promosse a livello locale nel corso del 2020 e del 2021 che hanno visto migliaia di persone mobilitarsi in aiuto delle famiglie in difficoltà (Maino e De Tommaso, 2022). Tra queste possono essere annoverati anche gli interventi della rete Caritas. Nel 2021 complessivamente risultano erogati quasi 1 milione 500 mila interventi, una media di 6,5 interventi per ciascun assistito. In particolare, il 74,7% degli interventi ha riguardato proprio l’erogazione di beni e servizi materiali come mense ed empori sociali, la distribuzione di pacchi viveri, i buoni ticket, e i prodotti di igiene personale (Caritas Italiana, 2022).

Quando le difficoltà economiche condizionano la capacità di accedere alle risorse alimentari, molte persone, specialmente quelle che si trovano in situazioni d’indigenza più severa, cercano aiuto presso istituzioni e strutture caritative che possono garantire una via alternativa per il reperimento del cibo necessario al sostentamento personale. In Italia, in particolare, le organizzazioni del terzo settore hanno giocato e giocano un ruolo cruciale nella lotta alla povertà alimentare. Ogni giorno, infatti, migliaia di soggetti radicati sui territori mettono in campo iniziative e risorse capaci di rispondere ai bisogni alimentari dei più poveri. È il caso di food bank come il Banco Alimentare che, operando come grossista della solidarietà, recupera le eccedenze prodotte lungo la filiera agroalimentare per destinarle a chi si trova in situazione di indigenza. O degli empori solidali, realtà non profit che hanno innovato le modalità di contrasto all'indigenza alimentare offrendo, oltre ai generi alimentari, strumenti integrati di promozione lavorativa e sociale per permettere alle persone di uscire dalla povertà. O, ancora, delle migliaia di cittadini e associazioni che, grazie alla crescente consapevolezza delle conseguenze sociali, ambientali ed economiche che possono essere generate da comportamenti e abitudini alimentari errate, hanno sviluppando forme di approvvigionamento, produzione e consumo più sostenibili. Come dimostra la diffusione dell'agricoltura urbana, il proliferare dei Gruppi di Acquisto Solidale o l'utilizzo di nuove tecnologie per favorire il food sharing e il recupero delle eccedenze alimentari.

Se fino all’inizio degli anni Duemila la caduta in stato di povertà alimentare era associata a eventi traumatici che portavano a un drastico abbassamento dei livelli di reddito e alla difficoltà di mantenere un adeguato livello di consumi, anche e soprattutto alimentari, la situazione di austerità permanente - associata prima alla crisi del 2007 e poi alla pandemia - ha contribuito ad accrescere il numero di persone che sono lentamente scivolate verso la povertà alimentare. Particolarmente preoccupante in questo senso è il fenomeno dei cosiddetti working poor, persone che pur lavorando, a causa della saltuarietà dell’attività svolta e/o dell’insufficienza della retribuzione percepita, non sono in grado di acquistare alimenti adeguati al sostentamento personale o del proprio nucleo familiare. Lavoratori poveri che, per evitare di essere sfrattati o vedersi chiudere le forniture di gas e luce, scelgono di pagare affitti, mutui e bollette restando tuttavia senza risorse per acquistare generi alimentari di prima necessità.

Dal momento che voci di costo come bollette, affitto, rate del mutuo o di un debito sono difficilmente comprimibili, persone e famiglie - per far quadrare le spese - tagliano, infatti, dove è possibile: le rinunce o i cambiamenti nei consumi riguardano in primis quindi l’istruzione, la salute e il cibo. E così che sempre più persone, nell’ultimo quindicennio, hanno rinunciato in tutto o in parte agli acquisti alimentari, rivolgendosi poi ad organizzazioni locali - tra cui i Centri di ascolto Caritas e i numerosi empori solidali - per sopperire a queste mancanze. E come ha evidenziato l’ultimo Rapporto di ActionAid (2022) sono sempre di più i minori (tra cui in particolare gli adolescenti) che in Italia subiscono gli effetti della povertà alimentare. Oltre all’incapacità di accedere a cibo adeguato e di qualità necessario al proprio sostentamento, per questi ultimi soffrire di povertà alimentare significa anche non poter vivere le occasioni sociali legate al cibo, vivere lo stigma che genera il vivere in una condizione di precarietà e le situazioni di stress che ne conseguono. Un insieme di bisogni che produce conseguenze soprattutto sul piano del benessere psico-fisico dei giovani, con effetti sul futuro oltre che sul presente.

 

Riferimenti bibliografici

  • Accolla G. (2015), “Food poverty secondo le statistiche di fonte ufficiale. L’Italia nel contesto europeo”, in G. Rovati e L. Pesenti (a cura di), Food Poverty, Food Bank. Aiuti alimentari e inclusione sociale, 31-49, Milano, Vita e Pensiero.
  • ActionAid (2021), La fame non raccontata. La prima indagine multidimensionale sulla povertà alimentare in Italia e il Covid-19, Milano.
  • Caritas Italiana (2022), L’anello debole. Rapporto 2022 su povertà ed esclusione sociale, Roma.
  • Censis e TuttoFood (2017), Crescita e qualità della vita: le opportunità della Food Policy, Milano 8 maggio 2017.
  • Coldiretti (2018), La povertà alimentare e lo spreco in Italia, Rapporto presentato a Torino il 15 giugno 2018.
  • Campiglio L. e G. Rovati (2009, a cura di), La povertà alimentare in Italia. Prima indagine quantitativa e qualitativa, Milano, Guerini e Associati.
  • FAO (1996), Rome Declaration on World Food Security and World Food Summit Plan of Action, World Food Summit di Roma, 13-17 Novembre 1996.
  • FAO (2008), An Introduction to the Basic Concepts of Food Security, Roma, FAO.
  • FAO, IFAD, UNICEF, WPF e WHO (2022), The State of Food Security and Nutrition in the World 2022, Roma, FAO.
  • Maino F. e C.V. De Tommaso (2022), Le reti locali multiattore nel contrasto alla povertà alimentare minorile: i casi di Milano e Bergamo, in “Rivista Italiana di Politiche Pubbliche”, n. 3, forthcoming.
  • Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (2021), Relazione di attuazione annuale FEAD - OP I Programma Operativo 1 FEAD 2014-2020, Roma.

 

Suggerimenti di lettura

  • ActionAid (2020), La pandemia che affama l’Italia. Covid-19, povertà alimentare e diritto al cibo, Milano.
  • ActionAid (2022), Cresciuti troppo in fretta. Gli adolescenti e la povertà alimentare in Italia, Milano.
  • Maino F., C. Lodi Rizzini e L. Bandera (2016), Povertà alimentare in Italia: le risposte del secondo welfare, Bologna, il Mulino.
  • Pettenati G. e A. Toldo (2018), Cibo tra azione locale e sistemi globali, Milano, FrancoAngeli.
Franca Maino
Franca Maino è Professoressa associata presso il Dipartimento di Scienze Sociali e Politiche dell’Università degli Studi di Milano e dirige il Laboratorio Percorsi di secondo welfare. È membro del Comitato di direzione di Stato e Mercato e della Rivista Italiana di Politiche Pubbliche. Fa parte del Comitato scientifico dell’Alleanza contro la Povertà, del Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza, della Fondazione Welfare Ambrosiano, di Assoprevidenza e della Fondazione PICO. I suoi principali campi di ricerca sono la politica sociale comparata con particolare riferimento alle trasformazioni recenti dello stato sociale e al ruolo di attori non pubblici.

Progetto realizzato da

Fondazione Ermanno Gorrieri per gli studi sociali

Con il contributo di

Fondazione Cassa di Risparmio di Modena