Glossario

Il "Glossario delle disuguaglianze sociali" mira a realizzare una raccolta di voci specificamente dedicate alla problematica delle disuguaglianze economiche e sociali, nella prospettiva di uno strumento di conoscenza e di informazione di base, durevole e continuativo. Le voci presenti sul portale - curate da professori, ricercatori ed esperti sui temi di interesse del Glossario - rappresentano il solido inizio di un progetto sempre attivo e in continua espansione. Pertanto, se pensi che sia ancora assente nel Glossario qualche argomento di rilevo nello studio delle disuguaglianze sociali, non esitare a segnalarcelo (glossario@fondazionegorrieri.it).

Eventi estremi

Scritto da: Enrico Giovannetti

 

Evento estremo: un tentativo definitorio

Quella che si intende proporre è una lettura particolare del concetto di “evento estremo”: non come causa, ma come effetto del degrado eco-sociale e, dunque, della fragilità delle condizioni di vita di ampie quote della popolazione.

Se l’occorrenza di un evento estremo può essere considerata esogena, la sua trasformazione in una catastrofe eco-sociale non lo è mai (Rodriquez-Oreggia et al., 2013, p. 442). In altri termini, non sono importanti solo le conseguenze degli eventi estremi, ma le cause che rendono “estremi” gli eventi naturali. L’ipotesi è che i fenomeni di degrado, intesi qui come progressiva perdita della fertilità delle risorse e dunque del loro valore economico, siano la vera causa della riduzione della resilienza delle comunità e, dunque, della maggiore esposizione agli effetti degli eventi estremi. Più in particolare, la prospettiva da seguire si potrebbe definire di “epidemiologia economica”: affrontare, cioè, il tema delle modalità d'insorgenza, di diffusione, dell’intensità e degli effetti del degrado su un determinato sistema eco-sociale, in rapporto all’ambiente economico-naturale in cui è inserito e, dunque le ragioni di maggiore esposizione al rischio.

L’esigenza di modificare la prospettiva analitica emerge anche dalla evoluzione del focus della letteratura sulle conseguenze socio-economiche degli eventi estremi. Come hanno notato molti autori (Juntunen, 2006; Kahn, 2005), prima della metà degli anni Settanta il problema degli effetti degli eventi catastrofici era studiato unicamente dal punto di vista ingegneristico/geologico. Solo successivamente, aumentano gli studi che evidenziano come la vulnerabilità sia determinata da processi sociali, economici e politici e che, in ultima istanza, tali fattori definiscono il pericolo stesso (Cardenas et al., 2017; Cavallo and Noy, 2011; Fothergill et al., 1999; Lim et al., 2017; Ward et al., 2017). Tuttavia, anche se l’attenzione al problema è cresciuta nel corso del tempo, esso sembra aver interessato assai più le indagini sociologiche che quelle economiche.

 

Vulnerabilità e degrado socio-economico come misure di rischio

La valutazione del rischio ambientale è generalmente costruita su tre misure: la pericolosità (probabilità dell’evento); la vulnerabilità (numero di persone e infrastrutture esposte all’evento); il valore del danno stimato in seguito all’evento stesso. Per moltissimi eventi, tuttavia, la probabilità che l’evento superi una determinata soglia e il valore del danno provocato, non sono calcolabili in modo efficace per due ragioni. La prima è che entrambe le misure non sono indipendenti dal grado di vulnerabilità (ad esempio, un alto livello di degrado economico e sociale di una comunità e di un territorio abbassa, ex-ante, il valore economico del danno stimato); la seconda, è l’estrema difficoltà di stabilire la scala del pericolo a cui può arrivare il fenomeno, se non posta in relazione al contesto in cui questo si manifesta e gli strumenti di protezione disponibili e concretamente utilizzabili. Disponibilità e utilizzo sono, a loro volta, legati alle istituzioni che hanno la responsabilità di predisporre e mantenere in efficienza strumenti di protezione idonei. Vulnerabilità e degrado eco-sociale sono dunque i principali indicatori, le variabili “indipendenti” più robuste nella previsione del rischio.

In generale, il degrado non è uno dei temi dalla teoria economica perché – in base agli assiomi dell’individualismo metodologico – non è considerato un possibile esito delle stesse relazioni economiche tra agenti. In altri termini, analizzare il degrado dal punto di vista economico significa risolvere un paradosso: come è possibile che avvenga la perdita di capacità se gli agenti si comportano in modo razionale, cercando sempre di massimizzare il valore delle risorse a loro disposizione?

Le scelte degli agenti sono sempre caratterizzate da rischio e incertezza e, proprio per questo, la valutazione del rischio individuale è uno dei temi che costituiscono il core delle discipline economiche. Ma il punto è che la stessa attenzione non viene rivolta alla valutazione dei rischi dei sistemi eco-sociali e, specularmente, alla valutazione del legame tra degrado economico, sociale e ambientale e vulnerabilità.

La vulnerabilità alle catastrofi naturali e tecnologiche è in gran parte un male pubblico: tali catastrofi colpiscono in genere le comunità, non gli individui isolati. Allo stesso modo, le misure per ridurre la vulnerabilità sono in larga misura beni pubblici.” (Boyce, 2000:4). La proposta è considerare quindi, non il “male pubblico”, ma il suo reciproco: l’accesso e il godimento del “bene sicurezza”. Ma qual è l’esatta natura economica di un tale “bene”: si tratta di un bene pubblico o un bene di lusso? Un bene club o un common?

Possiamo dunque interrogarci sulla natura del bene sicurezza”, pensandolo in relazione inversa con la vulnerabilità, intesa come “male” economico. Ma quale peso tale “bene” assume nel paniere delle scelte? Con quali processi viene realizzato? Con quali risorse e sotto la responsabilità/proprietà di quali agenti? La risposta a questi quesiti potrebbe essere ricercata declinando il concetto di sicurezza secondo la classificazione standard dei beni, fondata su l’esercizio dei diritti di proprietà: la sicurezza come Bene Privato (ad esempio, un sistema di allarme in una abitazione), o come Bene Club (ad esempio, la security in una Gate-community), o come Bene Pubblico (ad esempio, la Pubblica sicurezza e il sistema sanitario Pubblico), ovvero un Bene Common (ad esempio, l’assunzione di responsabilità sociale nel rispettare le misure di distanziamento durante la pandemia). Dato però che l’accesso alla sicurezza può essere, simultaneamente, rivale e non-rivale, escludibile e non escludibile, l’ambiguità nella classificazione non fornisce alcuna indicazione su quale sarà il comportamento ottimale degli agenti, quali gli obblighi dell’azione istituzionale e, dunque, sui meccanismi che portano ad assegnare alla sicurezza un valore reale di “bene economico”.

Si può essere tentati di immaginare che l’ambiguità teorica appena ricordata sia, nei fatti, risolta pragmaticamente dalla mano del “mercato”, in grado di soppesare l’allocazione diretta delle risorse in beni di sicurezza con scelte private dirette, accordi di gruppo, selezione delle migliori pratiche di politica. Ma la sicurezza – ad esempio, nell’accezione di salute pubblica – ha una ineliminabile, amplissima componente di bene comune da cui discende anche il valore delle altre tipologie di beni: la mia salute (sicurezza) dipende dal livello di salute del mio ambiente e dalla salute di chi mi circonda; quindi, il diverso da me, se non accede al mio stesso livello di sicurezza può essere intrinsecamente rivale e non escludibile nel godimento di salute/sicurezza da parte mia. Al tempo stesso, anche se la mia abitazione è stata efficacemente protetta grazie alle mie spese private (ad esempio nel dotarla di efficaci sistemi antisismici), che valore avrà se sarà circondata dalle macerie della comunità che non avrà avuto le stesse possibilità di difesa? Data questa relazione di necessità nell’equità nelle condizioni di accesso alla sicurezza, affinché tale condizione abbia un pieno ed effettivo valore economico, è necessario che sia considerata “di valore” anche nelle politiche economiche e nei comportamenti correnti. Deve essere notato che la riflessione sul grado di equità, necessario per garantire un accettabile standard di sicurezza collettiva, è perfettamente generalizzabile nello spiegare il tipo e l’intensità dell’impatto sociale ed economico, conseguenza del verificarsi di ogni tipologia di evento estremo.

 

La pandemia come occasione di riflessione

La pervasività della attuale pandemia ha il “merito” di porre in evidenza la stretta relazione tra eventi estremi e fragilità sociale, qualunque sia la prospettiva analitica da cui partire per analizzarne cause ed effetti: economica, sociale ed ambientale (Ahmed et al., 2020).Ad esempio, le istituzioni e gli enti che operano nel territorio, e posseggono sensori in grado di scendere nelle profondità del disagio sociale, mostrano quotidianamente come l’evento estremo incida con particolare durezza sugli “invisibili” economici: non-lavoratori regolari; non-imprese; non partite IVA e, alla fine, non-consumatori. A questa area, che è abituata ad essere dimenticata (si pensi agli innumerevoli slums che raccolgono i lavoratori agricoli) si aggiungono - con la stessa drammatica progressione della pandemia - le categorie che appartengono agli strati, via, via più in alto nella piramide sociale. La relazione tra salute pubblica, salute dell’economia e impatto sociale si rivela così stretta che il quesito su chi pagherà per tutto questo e con quali risorse va ben oltre le comprensibili preoccupazioni sui tempi della ripartenza, perché apre lo scomodissimo capitolo della redistribuzione incondizionata delle risorse stesse.

Ma nelle catastrofi, le conseguenze sono lo specchio delle cause: fragilità e degrado sociale ed ambientale sono fattori moltiplicativi dell’impatto dell’evento estremo. Ad esempio, anche se non è ancora dimostrato un preciso nesso causale, la geografia della pandemia e dell’intensità dei suoi effetti è sovrapponibile alla mappa dell’inquinamento, così come contagio e mortalità sono fortemente correlati alle condizioni di vita e di lavoro; la diffusione del contagio e la sua rapidissima espansione è favorita dalla distruzione della diversità degli ecosistemi; la pericolosità sanitaria dei wet-market è intrinsecamente legata alla pressione della domanda di risorse alimentari a basso prezzo da parte delle quote più povere della popolazione cinese.

Infine, i beni pubblici e i beni comuni disponibili: la dotazione di infrastrutture e la preventiva messa a punto di protocolli di difesa hanno fatto la differenza tra i morti in un sistema sanitario pubblico in sistematico smantellamento, come in Italia, confrontato con quanto è invece avvenuto in Corea (la cui esperienza nella precedente pandemia della SARS è stata memorizzata dalle istituzioni ed è diventata un tesoro immediatamente disponibile per fronteggiare ora il covid-19), ovvero in Germania che già disponeva di un piano sanitario nei confronti di eventuali pandemie e di un numero di attrezzature sanitarie di terapia intensiva, cinque volte superiori alle “eccellenze” italiane.

La vulnerabilità può essere paragonata all’esito di un “terremoto” lento, causato dalla progressiva perdita di capacità economica delle risorse umane e naturali. Allora, se è vera l’affermazione degli ingeneri strutturisti, che “i muri hanno memoria”, l’evento estremo deve essere considerato solo un acceleratore del tempo che fa emergere, in un attimo, le “crepe” e le debolezze già esistenti negli ecosistemi umani e ambientali.

 

Piccola nota al margine

La presente riflessione è stata scritta nel periodo pasquale 2020: è interessante notare, a futura memoria, il dibattito che si è sviluppato sulla stampa nazionale ed internazionale (ad esempio nella settimana immediatamente successiva alla Pasqua) circa la natura della crisi, gli insegnamenti che questa ci dovrebbe aver dato e le nuove basi per una nuova ripartenza in “sicurezza”. La fragilità di persone e strati sociali è emersa con tale forza che è diventata uno dei focus dell’attenzione mediatica, insieme alle sue cause: eccessiva globalizzazione, deindustrializzazione, perdita delle produzioni strategiche, impoverimento nelle competenze, tagli alla sanità e alla ricerca, l’Europa dei mercati e non della solidarietà, e così avanti come penitenti che piangono i loro peccati in una processione contro la peste cinquecentesca, nelle vie di Roma dopo il sacco dei Lanzichenecchi. Sempre a futura memoria, è interessante confrontare, quel dibattito, con il tono e gli argomenti discussi, solo un mese dopo, nella discussione sulla ripartenza.

 

Riferimenti bibliografici

  • Ahmed F., N. Ahmed, C. Pissarides e J. Stiglitz (2020), “Why inequality could spread COVID-19”, Lancet Public Health. Link.
  • Boyce J.K. (2000), “Let Them Eat Risk? Wealth, Rights, and Disaster Vulnerability”, Disasters, 24 (3), 254-321.
  • Cárdenas J.C., M. Janssen, M. Ale, R. Bastakoti, A. Bernal, J. Chalermphoi, Y. Gong, H. Shin, G. Shivakoti, Y. Wang e J.M. Anderies (2017), “Fragility of the provision of local public goods to private and collective risks”, PNAS, Proceedings of the National Academy of Sciences, 114(5). Link.
  • Cavallo E. e I. Noy (2011), “Natural Disasters and the Economy – A Survey”, International Review of Environmental and Resource Economics, 5, 63–102.
  • Fothergill A., E. Maestas e J. Dalington (1999), “Race, Ethnicity and Disasters in the U.S.: a Review of the Literature”, Disasters, 23 (2), 156-174.
  • Juntunen L. (2006), “Addressing social vulnerability to hazards”, NOAA TsuInfo Alert, 8(2).
  • Kahn M. (2005), “The death toll from natural disasters: the role of income, geography, and institutions”, The Review of Economics and Statistics, 87(2), 271–284
  • Lim J., S. Loveridge, R. Shupp e M. Skidmore (2017), “Double danger in the double wide: Dimensions of poverty, housing quality and tornado impacts”, Regional Science and Urban Economics, 65, 1–15.
  • Rodriguez-Oreggia E., A. De La Fuente, R. De La Torre e H.A. Moreno (2013), “Natural Disasters, Human Development and Poverty at the Municipal Level in Mexico”, Journal of Development Studies, 49 (3), 442–455.
  • Ward G. e G. Shivley (2017), “Disaster risk, social vulnerability, and economic development”, Disasters, 41(2), 324−351.

 

Suggerimenti alla lettura

  • Cannon T. (1994), “Vulnerability Analysis and the Explanation of ‘Natural’ Disasters”, Disasters, Development and Environment, 1, 13-30. Link.
  • Esposito F., M. Russo, M. Sargolini, L. Sartori e V. Virgili (2017), Building Back Better: idee e percorsi per la costruzione di comunità resilienti, Roma, Carocci Editore.
  • World Economic Forum (2018), Global Risk Report. Link.
  • Klineberg E. (2002), Heatwave: A Social Autopsy of Disaster in Chicago, Chicago, University of Chicago Press.
  • Stabile M., B. Apouey, I. Solal (2020), “COVID-19, inequality, and gig economy workers”, VoxEU.org. Link.
  • Steinberg T. (2000), Acts of God: The Unnatural History of Natural Disasters in America. New York, Oxford University Press.
  • ONU (2018), Sendai Framework for Disaster Risk Reduction 2015-2030, New York, ONU. Link.
  • Wisner B., P. Blaikie, T. Cannon e I. Davis (2003), At Risk: natural hazards, people’s vulnerability and disasters (II Edizione), Londra, Routledge.
Enrico Giovannetti
Professore di Politica Economica, insegna Economia e Politiche Ambientali preso il Dipartimento di Economia "Marco Biagi" (UNIMORE). Ha svolto ricerche sul mercato del lavoro, sull'economia dei settori produttivi, sul ruolo e le possibilità della microfinanza e dell'imprenditoria sociale come azione bottom-up di stimolo economico. In tempi recenti, il campo d’indagine ha compreso le conseguenze socio-economiche degli eventi estremi e i processi di degrado dei sistemi eco-sociali.

Progetto realizzato da

Fondazione Ermanno Gorrieri per gli studi sociali

Con il contributo di

Fondazione Cassa di Risparmio di Modena