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Il "Glossario delle disuguaglianze sociali" mira a realizzare una raccolta di voci specificamente dedicate alla problematica delle disuguaglianze economiche e sociali, nella prospettiva di uno strumento di conoscenza e di informazione di base, durevole e continuativo. Le voci presenti sul portale - curate da professori, ricercatori ed esperti sui temi di interesse del Glossario - rappresentano il solido inizio di un progetto sempre attivo e in continua espansione. Pertanto, se pensi che sia ancora assente nel Glossario qualche argomento di rilevo nello studio delle disuguaglianze sociali, non esitare a segnalarcelo (glossario@fondazionegorrieri.it).

Reddito minimo

Scritto da: Elizabeth Jane Casabianca, Elena Giarda

 

Che cos’è il reddito minimo?*

Il reddito minimo è un trasferimento monetario a sostegno del reddito dei “poveri”, erogato fino al permanere dello stato di necessità e riservato agli individui in età lavorativa. Si tratta di una misura di ultima istanza con l’obiettivo di garantire un tenore di vita minimo ai beneficiari e ai loro familiari. Il reddito minimo è soggetto alla prova dei mezzi (means tested), cioè spetta solo a chi dimostra di avere un reddito e un patrimonio familiare al di sotto di una certa soglia, ed è condizionato alla partecipazione a programmi di inserimento lavorativo e/o sociale. Il reddito minimo è cioè selettivo, sottoposto alla prova dei mezzi e condizionale. Il reddito minimo non deve essere confuso con il reddito di base (o di cittadinanza) che, invece, è universale, non sottoposto alla prova dei mezzi e non condizionale (Granaglia e Bolzoni, 2016; Toso, 2016).

Uno degli argomenti spesso adottati a favore del reddito minimo, rispetto al reddito di base, è la sua maggiore efficienza nell’azione di contrasto alla povertà (la cosiddetta target efficiency): essendo una misura per i poveri, dunque selettiva, i trasferimenti monetari sono indirizzati solo verso i più bisognosi. Inoltre, il beneficio di solito può essere utilizzato solo per l’acquisto di beni di prima necessità in quanto erogato nella forma di carte prepagate e/o buoni spesa. Inoltre, esso elimina il disincentivo al lavoro in quanto subordinato all’iscrizione presso un centro per l’impiego. A questo spesso si associa l’obbligo di accettare l’n-esima offerta di lavoro, pena la decadenza dal diritto.

Il reddito minimo non è comunque esente da critiche. Per prima quella secondo cui potrebbe scoraggiare i beneficiari a migliorare la propria situazione economica per timore di perdere il diritto al trasferimento. Si parla in questo caso di “trappola della povertà”: proprio perché il reddito minimo è soggetto alla prova dei mezzi potrebbe finire per intrappolare un individuo al di sotto della soglia di povertà (Toso, 2016). Si aggiunge che spesso gli schemi di reddito minimo sono inadatti a raggiungere gli stessi destinatari della misura (poor programme for the poor) a causa sia della scarsa rappresentatività dei poveri tra i responsabili della loro progettazione sia della difficoltà nel creare consenso politico attorno ad essi. Infine, l’evidenza suggerisce che i programmi di reddito minimo sono caratterizzati da un basso tasso di coinvolgimento effettivo (take-up rate) dovuto soprattutto a procedure di richiesta complicate e burocratizzate (Immervoll, 2010).

 

Perché ce n’è bisogno?

Successivamente alla crisi del 2007/2008 la povertà è aumentata nella maggior parte dei paesi avanzati. A livello europeo, gli indicatori convenzionalmente utilizzati per monitorare la povertà sono: (i) il rischio di povertà (at-risk-of-poverty rate), cioè la percentuale di persone con un reddito familiare equivalente inferiore al 60% della mediana; (ii) il rischio di povertà o esclusione sociale (at-risk-of-poverty or social exclusion rate), che identifica la percentuale di persone che è a rischio di povertà e/o in situazione di grave deprivazione materiale e/o vive in famiglie a bassa intensità lavorativa; (iii) la povertà lavorativa (in-work poverty), definita come la percentuale di lavoratori a rischio di povertà.

Nell’Eurozona i tre indicatori sono aumentati considerevolmente per effetto della crisi (Figura 1a). In Italia il quadro è nettamente peggiore: tutti gli indicatori di povertà esibiscono valori più alti rispetto al corrispondente livello europeo (Figura 1b). Sia per l’Eurozona che per l’Italia tutti gli indicatori erano aumentati in seguito alla crisi finanziaria.

 

Figura 1. Indicatori di povertà (valori percentuali). Anni 2005-2018

a. Eurozona

b. Italia

Fonte: Eurostat.

 

L’Italia inoltre si caratterizza per elevati divari territoriali, in particolare il divario Nord-Sud che persiste anche negli ultimi dati a disposizione (Figura 2). Per l’Italia esiste anche un altro indicatore di povertà, la povertà assoluta, che è stata presa a riferimento quando nel 2019 è stato introdotto il Reddito di cittadinanza che aveva come obiettivo quello di raggiungere 5 milioni di poveri assoluti. La povertà assoluta identifica la percentuale di individui che sostengono una spesa mensile per consumi pari o inferiore alle soglie di povertà assoluta definite come il valore monetario, a prezzi correnti, del paniere di beni e servizi considerati essenziali per ciascuna famiglia. La percentuale di poveri assoluti ha mostrato un forte incremento a partire dal 2007 quando il suo valore si attestava al 3,1% (0,8 milioni di famiglie e 1,8 milioni di individui) per arrivare all’8,4% nel 2018 (1,8 milioni di famiglie e 5 milioni di individui) (Figura 3).

 

Figura 2. Rischio di povertà per regione (valori percentuali). Anno 2018

Fonte: Eurostat.

 

Figura 3. Povertà assoluta in Italia (valori percentuali). Anni 2005-2018

Fonte: Istat.

 

La pesante eredità lasciata dalle crisi sui livelli di povertà in Europa, e in alcuni paesi come l’Italia in particolare, ha reso necessario concentrare il dibattito economico e politico su come meglio affrontare l’emergenza. Il primo passo fu compiuto nel 2013 dalla Commissione Europea tramite la pubblicazione del Social Investment Package. A questo hanno fatto seguito le raccomandazioni sull’introduzione di schemi di reddito minimo come principale strumento di contrasto alla povertà e di incentivo all’attivazione lavorativa. Tali obiettivi si sposavano con quelli fissati dalla strategia Europa 2020 di ridurre il numero di persone a rischio di povertà o esclusione sociale entro il 2020.

 

Il reddito minimo in Italia

L’Italia è stato uno degli ultimi paesi in Europa, assieme alla Grecia, a introdurre uno schema di reddito minimo a livello nazionale. Dopo una serie di misure implementate a livello locale e sperimentali, il dlgs. 147/2017 ha finalmente disposto l’istituzione di una misura unica a livello nazionale di contrasto alla povertà denominato Reddito di Inclusione (REI) a decorrere dal 1° gennaio 2018. Nella prima fase della sua implementazione il REI era altamente selettivo, indirizzato a famiglie povere con almeno un componente in una condizione di vulnerabilità (Tabella 1). Le modifiche apportate con la legge di bilancio per il 2018, entrate in vigore da metà 2018, hanno rilassato i requisiti categoriali di composizione familiare, estendendo la misura a tutti i nuclei poveri e incrementando l’importo del beneficio per le famiglie più numerose. Fu a questo punto che il REI divenne una forma di reddito minimo ispirato al principio dell’universalismo selettivo, ossia l’estensione del diritto all’accesso a tutti salvo applicazione della prova dei mezzi per selezionare la platea dei beneficiari e comunque condizionato alla partecipazione a programmi di reinserimento nel mercato del lavoro.

A causa dei requisiti economici e patrimoniali piuttosto stringenti, il REI non era però in grado di raggiungere una quota rilevante di famiglie. Per questo motivo, vennero presentate alcune proposte per rafforzare la misura. La discussione si risolse con la definitiva introduzione tramite D.L. 4/2019 di una nuova misure di sostegno ai redditi dei più poveri, il Reddito di cittadinanza (RDC), in sostituzione del REI. Nonostante il nome richiami l’istituto del reddito di base, l’RDC è a tutti gli effetti uno schema di reddito minimo: è sottoposto alla prova dei mezzi e condizionato alla stipula di un patto per il lavoro e l’inclusione sociale. Il reddito di cittadinanza assume la denominazione di Pensione di cittadinanza (PDC) quando il nucleo familiare è composto esclusivamente da persone di età pari o superiore a 67 anni.

L’RDC si differenzia dal REI sotto vari aspetti, tra i quali il criterio di residenza applicato per l’accesso alla misura, i criteri reddituali e patrimoniali validi al fine della prova dei mezzi e la scala di equivalenza utilizzata per il calcolo del beneficio (Tabella 1).

 

Tabella 1. Requisiti di accesso: REI vs RDC

 

REI 2017

REI 2018

RDC 2019

Riferimento legislativo

Dgls. 147/2017

Modifiche apportate con dalla legge 205/2017 (legge di bilancio per il 2018)

D.L. 4/2019

Cittadinanza

Cittadino UE o extra-UE permesso di soggiorno di lungo periodo

v. REI 2017

Cittadino UE o extra-UE permesso di soggiorno di lungo periodo

Residenza

Almeno 2 anni in via continuativa

v. REI 2017

10 anni, ultimi 2 continuativi

Composizione familiare

(i) un minore

(ii) un minore disabile

(iii) una donna in gravidanza

(iv) un disoccupato over-55

   -

   -

Soglie reddituali e patrimoniali

ISEE (Indicatore della Situazione Economica Equivalente) < 6.000€

v. REI 2017

 

 

 

ISEE < 9.360€

ISRE (Componente reddituale ISEE) < 3.000€

Per famiglie in affitto:

ISRE < 9.360€ * scala di equivalenza a   

Per famiglie non in affitto:

 - Con componenti +67 anni (PDC):

ISRE < 7.560€ * scala di equivalenza a  

- Altre tipologie familiari (RDC):

ISRE < 6.000€ * scala di equivalenza a 

Patrimonio immobiliare (esclusa abitazione di residenza) < 20.000€

Per tutte le tipologie familiari:

Patrimonio immobiliare (esclusa abitazione di residenza) < 30.000€

Patrimonio mobiliare < 10.000€

Patrimonio mobiliare < 6.000€ + 2.000€ per ogni componente successivo al primo (fino a un max di 10.000€) + 1.000€ per ogni figlio successivo al secondo + €5.000 per ogni disabile

Scala di equivalenza

Peso pari a 1 al primo membro, 0,57 al secondo membro della famiglia, 0,47 al terzo, 0,42 al quarto, 0,39 al quinto e 0,35 a quelli successivi

v. REI 2017

Peso pari a 1 al primo membro, 0,4 per ogni altro membro maggiorenne, 0,2 per ogni minorenne, con un tetto di 2,1 (2,2 in presenza di disabili)

Compatibilità con altri benefici

Non compatibile con la NASPI o altro strumento per la disoccupazione involontaria

v. REI 2017

Compatibile con la NASPI e con gli altri strumenti di sostegno al reddito in caso di disoccupazione involontaria

Durata

18 + 12 mesi

18 + 18 mesi

18 + 18 mesi

Condizionalità

Sottoscrizione di un programma di attivazione lavorativa o sociale

v. REI 2017

Sottoscrizione di un programma di attivazione lavorativa o sociale (Patto per il lavoro e dal Patto per l'inclusione sociale)

Nota: a La componente reddituale ISEE (ISRE) è da considerare, in questo caso, senza applicazione di deduzioni e detrazioni di spese o franchigie.

 

Le differenze nel disegno delle due misure fanno sì che l’importo mensile dell’RDC sia più alto rispetto a quello del REI (Tabella 2). Le prime domande di RDC sono state presentate a marzo 2019 e già a partire da aprile 2019 il sussidio è stato erogato alle famiglie richiedenti in linea con i criteri di accesso al beneficio. In base ai dati presentati da INPS al marzo 2020, 1,07 milioni di famiglie sono già state beneficiarie del RDC percependo in media un importo mensile pari a 513€, per una spesa pubblica complessiva di 6,6 miliardi di euro in un anno.

 

Tabella 2. Importo mensile massimo REI e RDC (in euro) per numero di componenti familiari

Numero componenti familiari

REI 2017

REI 2018

RDC 2019*

1

188

188

780

2

294

294

980

3

383

383

1080

4

461

461

1180

5+

485

534

1330

Nota: * Famiglia con due membri = due adulti; Famiglie con 3 o più membri = due adulti + minori.

 

Vari autori hanno effettuato valutazioni sia del REI che dell’RDC attraverso modelli di micro-simulazione per valutarne l’impatto distributivo (ad esempio, si vedano UPB, 2017 e 2019; Prometeia, 2017; Baldini et al., 2018; Gallo e Sacchi, 2019).

 

Qualche numero e questioni aperte

Con l’RDC l’Italia ha dunque compiuto passi importanti nel cammino verso l’adozione di una misura di contrasto alla povertà, iniziato con il REI nel 2017. Anche l’RDC però non è esente da criticità. Ad esempio, le condizioni di accesso al beneficio particolarmente stringenti per i cittadini stranieri che impongono, accanto al requisito di residenza, anche l’obbligo di produrre una certificazione rilasciata dalla competente autorità dello Stato di origine, tradotta e legalizzata. Quest’ultimo rappresenta un iter burocratico che complica ulteriormente la richiesta del sussidio per gli stranieri in maggiore difficoltà economica. Un secondo aspetto fa riferimento alla scala di equivalenza adottata che, in aggiunta a dare un minore peso ai componenti oltre il primo rispetto ad altre scale di equivalenza, è vincolata a un valore massimo di 2,1 anche per famiglie alle quali andrebbe assegnato un coefficiente superiore. Ciò ha provocato un minore targeting delle famiglie più numerose e/o con presenza di minori.

Il perfezionamento dell’RDC potrebbe dunque riguardare un allentamento dei criteri di residenza per l’accesso alla misura e una revisione della scala di equivalenza per il calcolo del beneficio. A parità di risorse questo implicherebbe un ridimensionamento dell’ammontare erogato per raggiungere una platea più ampia di percettori. Altrimenti, se ci fosse il consenso politico o lo spazio fiscale per farlo, una riforma dell’RDC in questa direzione significherebbe sia un più elevato numero di beneficiari sia un maggiore importo del beneficio medio con importanti effetti in termini di contrasto alla povertà.

 

Riferimenti bibliografici

  • Baldini M., E. J. Casabianca, E. Giarda e L. Lusignoli (2018), “The impact of REI on Italian households’ income: a micro and macro evaluation”, Politica Economica - Journal of Economic Policy, 34(2), 103-134.
  • Gallo G. e S. Sacchi (2019), “Beneficiari e spesa del reddito di cittadinanza: una stima della misura finale”, INAPP Policy Brief, 11.
  • Granaglia E. e M. Bolzoni (2016), Il reddito di base, Roma, Ediesse.
  • Immervoll H. (2010), “Minimum-Income Benefits in OECD Countries: Policy, Design, Effectiveness and Challenges”, OECD Social, Employment and Migration Working Paper, 100.
  • INPS, Reddito/Pensione di Cittadinanza e Reddito di Inclusione Osservatorio Statistico, Roma, INPS.
  • Prometeia (2017), “The introduction of minimum income in Italy: Challenges and outcomes”, Discussion Note Prometeia, 3.
  • Toso S. (2016), Reddito di cittadinanza. O reddito minimo?, Bologna, Il Mulino.
  • Ufficio Parlamentare di Bilancio (2017), Rapporto sulla politica di bilancio 2018, Roma, UPB.
  • Ufficio Parlamentare di Bilancio (2019), “I percorsi del Reddito di cittadinanza: un aggiornamento”, Flash n. 1, Roma, UPB.

 

Suggerimenti di lettura

  • Commissione Europea (2016), Minimum Income Schemes in Europe A study of national policies, Bruxelles, Commissione Europea.
  • Gori, C., Baldini, M., Martini, A., Motta, M., Pellegrino, S., Pesaresi, F., Pezzana, P., Sacchi, S., Spano, P., Trivellato, U. and Zanini, N. (2016), Il Reddito d’inclusione sociale (Reis). La proposta dell’Alleanza contro la povertà in Italia, Bologna, Il Mulino.

 

* Le opinioni espresse nel documento sono esclusivamente riconducibili alla responsabilità delle autrici e non riflettono necessariamente quelle di Prometeia.

Elizabeth Jane Casabianca
Elizabeth Jane Casabianca è Economist presso Prometeia. Ha precedentemente svolto attività di ricerca presso il Dipartimento di Scienze Economiche e Sociali di Ancona, dove ha ottenuto il dottorato in Economia Politica nel 2014. Ha svolto attività di consulenza presso le Nazioni Unite di Ginevra e ha collaborato con il Centro Internazionale di Formazione dell’ILO di Torino.
Elena Giarda
Elena Giarda è Specialist presso Prometeia, dove si occupa di microsimulazione fiscale e di analisi microeconomiche sulle condizioni economico-finanziarie delle famiglie. In precedenza ha lavorato presso lo Scottish Executive di Edimburgo. Ha conseguito un dottorato in Scienze Statistiche presso l’Università di Bologna e un Master of Science in Economics presso l’Università di Glasgow.

Progetto realizzato da

Fondazione Ermanno Gorrieri per gli studi sociali

Con il contributo di

Fondazione Cassa di Risparmio di Modena