Glossario

Il "Glossario delle disuguaglianze sociali" mira a realizzare una raccolta di voci specificamente dedicate alla problematica delle disuguaglianze economiche e sociali, nella prospettiva di uno strumento di conoscenza e di informazione di base, durevole e continuativo. Le voci presenti sul portale - curate da professori, ricercatori ed esperti sui temi di interesse del Glossario - rappresentano il solido inizio di un progetto sempre attivo e in continua espansione. Pertanto, se pensi che sia ancora assente nel Glossario qualche argomento di rilevo nello studio delle disuguaglianze sociali, non esitare a segnalarcelo (glossario@fondazionegorrieri.it).

Disuguaglianza

Scritto da: Maurizio Franzini

 

Perché occuparsene

Nel mondo in cui viviamo le persone sperimentano condizioni di vita e hanno accesso ad opportunità molto diverse, spesso così diverse da risultare tra loro incomparabili. La disuguaglianza economica, nei redditi e nella ricchezza, svolge un ruolo cruciale – anche se, naturalmente, non unico – nel determinare un simile stato di cose, che si manifesta, sebbene in misura diversa, nel mondo intero, nei singoli paesi e anche in aree geograficamente delimitate all’interno di questi ultimi.

Occuparsi della disuguaglianza economica, dunque, equivale largamente ad occuparsi della eterogeneità nelle condizioni di vita delle persone anche se molti altri fattori incidono su di essa: la disponibilità di servizi essenziali (si pensi alla sanità), la qualità dell’ambiente, il grado di fiducia che caratterizza la società in cui si vive e molto altro. Tuttavia, i profili di vita individuali e il benessere di cui si gode sono fortemente collegati al proprio reddito e alla propria ricchezza; ciò vale sia in condizioni normali di funzionamento della società sia, e forse soprattutto, in situazioni di emergenza come quella della pandemia da Covid-19. Ciò anche perché, come si dirà, la disuguaglianza economica può in vario modo influenzare i processi da cui dipendono le condizioni prevalenti in altri ambiti decisivi per il benessere di ciascuno.

Queste affermazioni potrebbero essere controverse, ma anche se si concordasse con esse si potrebbe considerare la disuguaglianza economica un problema poco rilevante. In realtà, questo è quanto si sostiene con frequenza, facendo ricorso a diversi argomenti (Franzini, 2017). I più frequenti sono, probabilmente, quelli che seguono.

Il primo scaturisce da una visione della giustizia sociale per la quale il problema sarebbe rappresentato esclusivamente dalla povertà e non anche dalla disuguaglianza. In altri termini delle distanze economiche tra gli individui, quali che siano, non dovremmo preoccuparci se nessuno o pochi si trovassero al di sotto della soglia (largamente convenzionale, considerata anche la pluralità di modi in cui può essere fissata) della povertà.

Il secondo argomento si basa sull’idea che la disuguaglianza che si forma nei mercati è tendenzialmente giusta perché determinata da un meccanismo competitivo che tenderebbe a premiare il merito.

Il terzo argomento è quello secondo cui la disuguaglianza favorisce la crescita economica dalla quale tutti, anche gli svantaggiati dalla disuguaglianza, potranno trarre beneficio.

A questi tre argomenti spesso se ne affiancano altri, uno dei quali, con riferimento specifico agli ultimi due decenni, è che la disuguaglianza nei redditi non avrebbe mostrato tendenza a crescere, sia a livello mondiale sia in molti paesi, tra i quali vi è l’Italia.

Molte ragioni spingono a dubitare che questa affermazione rappresenti in modo corretto le tendenze nel nostro paese; in particolare, sorgono problemi rispetto ai dati utilizzati e, inoltre, non tutti gli indicatori portano alla stessa conclusione (Franzini e Raitano, 2018a). Al di là di ciò, merita di essere sottolineato un punto: mentre è facile stabilire se la disuguaglianza cresce oppure decresce è molto difficile individuare una soglia oltre la quale essa può considerarsi alta, e perciò preoccupante. La conseguenza è che ci si affida alle valutazioni sulle dinamiche (e su entrambi i fronti, per la verità) per distrarre o attrarre attenzione su di essa.

Per preoccuparsi della disuguaglianza non occorre, però, la preventiva dimostrazione che essa è alta; anche se – di fronte a alcuni dati sulla concentrazione dei redditi e della ricchezza nel mondo e in Italia - ben difficilmente si potrebbe sostenere che non lo è. Può essere sufficiente esaminare i meccanismi che la producono - dunque alcune sue caratteristiche, che sono storicamente mutevoli- nonché le conseguenze che possono derivarne per il funzionamento del sistema economico, delle relazioni sociali e della stessa democrazia.

Una questione di cruciale importanza è se si possa considerare meritocratica la disuguaglianza che si produce nei mercati, ed in particolare nel mercato del lavoro. Il funzionamento di quest’ultimo è oggi molto diverso rispetto a qualche decennio fa e ciò suggerisce che se la disuguaglianza di oggi è comparabile, per la sua altezza, con quella di qualche decennio fa, ben difficilmente lo è anche per le sue caratteristiche e per i suoi meccanismi. Nel mercato del lavoro oggi si rilevano disuguaglianze difficilmente immaginabili in passato e ne sono espressione principale due fenomeni tra loro opposti: da un lato, quello dei working poor (cioè di coloro che pur lavorando sono poveri, in base all’una o all’altra definizione della soglia di povertà) e, dall’altro, quello dei super-ricchi da lavoro (autonomo o dipendente), documentato anche dal fatto che è enormemente cresciuta la quota di reddito da lavoro nel reddito complessivo dei segmenti più ricchi della popolazione, ad esempio l’1% (Franzini et al., 2014). Peraltro questi super-redditi sembrano scaturire da meccanismi che amplificano enormemente le eventuali differenze nelle abilità - o, se si vuole, di talento - per ragioni che sono oggetto di (non ancora definitiva) analisi nell’ambito della cosiddetta economia delle superstar, inaugurata da Rosen (1981). Inoltre, le differenze di reddito da lavoro a parità di livelli di istruzione e, più in generale, di capitale umano sono amplissime (Franzini e Raitano, 2019); ciò rimanda al ruolo di fattori che difficilmente possono essere considerati meritocratici.

Ancora, in diversi paesi, tra i quali vi è l’Italia, le posizioni migliori in termini di reddito sono occupate in netta prevalenza da coloro che provengono dalle famiglie più agiate economicamente; dunque, la mobilità sociale è limitata e, per converso, la disuguaglianza si trasmette in ampia misura da una generazione all’altra. Ciò vuol dire che molti sono privati dell’opportunità di accedere alle posizioni economicamente privilegiate (Franzini e Raitano, 2018b). Non si tratta di una questione soltanto ‘allocativa’, cioè di individuazione di chi accede alle posizioni migliori. Privare, ad esempio su base etnica o di genere, gruppi di individui della possibilità di accesso a determinate opportunità significa incidere profondamente sul funzionamento del mercato del lavoro e, in particolare, indebolire complessivamente la loro forza contrattuale con la probabile conseguenza che la disuguaglianza nelle retribuzioni tenderà a crescere.

Questo insieme di considerazioni appare sufficiente per concludere che la disuguaglianza nei redditi che si manifesta nel mercato del lavoro, nel nostro paese e non solo, è – in non piccola parte – scarsamente meritocratica e, dunque, tale da suscitare preoccupazioni per la sua compatibilità con un’idea difendibile di giustizia. Tali preoccupazioni, peraltro, risultano accresciute se si considera anche la ricchezza e, dunque, il reddito che da essa scaturisce. Attraverso il trasferimento ereditario la famiglia è decisiva per la ricchezza di cui si può disporre e, quindi anche, nel caso della ricchezza finanziaria, per i suoi rendimenti che possono essere – e sono stati in molti casi – assai elevati soprattutto grazie ai cosiddetti guadagni in conto capitale.

Questi meccanismi, che portano verso la disuguaglianza non meritocratica, sono in vario grado e in vario modo alimentati da una forma o l’altra di potere e, dunque, possono essere propriamente considerati fonti di rendite. Il diverso potere di cui dispongono i vari soggetti domina, in molti ambiti, il merito e il talento come causa di disuguaglianza. In questo potere rientra, naturalmente, anche il potere monopolistico e monopsonistico di alcuni giganti, che la politica ha scarsamente contrastato, e che conferisce al sistema economico, assieme alla scarsa mobilità sociale, tratti che consentono di parlare di capitalismo oligarchico (Franzini e Pianta, 2016).

 

Conseguenze della disuguaglianza

Veniamo ora alla questione delle conseguenze che può avere la disuguaglianza economica - con le sue caratteristiche e la sua innegabile altezza - su varie dimensioni rilevanti per il benessere di gran parte della popolazione nonché per il funzionamento stesso della democrazia. La prima considerazione si riferisce all’impatto sulla crescita economica. Sono ben scarse le prove che una disuguaglianza più elevata sia benefica per la crescita – cioè che sia valido uno degli argomenti più ricorrenti tra coloro che invitano a non preoccuparsi troppo della disuguaglianza. Prevalgono, infatti, le analisi empiriche (e gli argomenti teorici) che portano a conclusioni opposte (Menabò, 2019): si cresce meno se la disuguaglianza è più alta.

La seconda considerazione riguarda l’ambiente: sono diversi gli indizi che una disuguaglianza elevata, soprattutto laddove il reddito medio è elevato e i redditi e la ricchezza sono fortemente concentrati nella parte alta della distribuzione, sia dannosa per l’ambiente, considerato sotto diversi profili (Menabò, 2019).

La terza considerazione si riferisce alla mobilità sociale tra generazioni; quest’ultima, infatti, presenta un elevato grado di correlazione negativa con la disuguaglianza; ciò vuol dire che laddove le distanze tra i ricchi e i poveri sono ampie è anche più probabile che i ricchi di ogni generazione siano figli dei ricchi e i poveri, figli dei poveri.

La quarta considerazione riguarda il rapporto con il funzionamento della democrazia ed è forse la più importante anche perché dalla democrazia e dal suo funzionamento dipendono molti meccanismi in grado di incidere sulla crescita economica, sull’ambiente e sulla mobilità sociale. Oltre che sulla disuguaglianza stessa.

La disuguaglianza economica, specie se alimentata dalle distanze abissali tra i super-ricchi e coloro che non hanno accesso ad alcune fondamentali opportunità (anche come cittadini), può facilmente tradursi in disuguaglianza politica. Tale disuguaglianza non si manifesta soltanto nel momento elettorale ma, più in generale, in fase di assunzione di decisioni fondamentali per la vita di molti spesso, piegandole agli interessi di una molto ricca minoranza (Menabò, 2019). Si può, cioè dire, che il problema è quello della unequal voice, per riprendere una felice espressione di Schlozman et al. (2018).

 

Conclusioni

In conclusione le ragioni per considerare la disuguaglianza, e non soltanto la povertà, un problema meritevole della massima attenzione non sembrano mancare. In particolare, tenendo conto delle caratteristiche della disuguaglianza contemporanea, ciò richiede di prestare attenzione alla tendenza dei redditi - anche quelli da lavoro – a concentrarsi nella parte alta della distribuzione e a determinare distanze forti e dense di conseguenze tra un ristretto numero di super-ricchi (che sono tali in base a meccanismi in prevalenza non meritocratici) e la grande massa della popolazione, così svuotando quel ceto medio che da tempo immemorabile è considerato una potente cerniera tra i ricchi e i poveri, un indispensabile cuscinetto sociale per il buon funzionamento della democrazia.

Le politiche per contrastare la disuguaglianza non mancano e riguardano sia il funzionamento dei mercati (le cosiddette politiche pre-distributive) sia l’azione redistributiva del welfare (Franzini, 2018). Ma prima di attivarle è indispensabile chiarire gli obiettivi che si vogliono raggiungere e che di certo non possono riassumersi in un’irrealizzabile completa eguaglianza, che è anche facile bersaglio di critiche corrosive. L’obiettivo dovrebbe essere quello di smantellare i meccanismi che conducono a disuguaglianze ingiuste e inaccettabili o, almeno, di limitare gli effetti che essi hanno sulla disuguaglianza nelle condizioni di vita delle persone.

Tutto ciò appare ancora più urgente in seguito alla pandemia da Covid-19 che, da un lato, ha mostrato come le disuguaglianze economiche ereditate dal passato determinino anche una diseguale esposizione al rischio di contagio e di un suo esito letale e, dall’altro, minaccia di approfondire la tendenza verso le disuguaglianze ingiuste, poiché genera costi e disagi maggiori a carico di chi è più povero non soltanto di reddito, ma anche di ‘potere’ e di opportunità.

 

Riferimenti bibliografici

  • Franzini M. (2017), Disuguaglianze inaccettabili. Quante sono, come combatterle, Lettura Annuale Ermanno Gorrieri 2017, Modena, Fondazione Ermanno Gorrieri.
  • Franzini M. (2018), “Conclusioni. Redistribuire non basta: perché e come intervenire sulle disuguaglianze di mercato”, in M. Franzini e M. Raitano (a cura di), Il mercato rende diseguali? La distribuzione dei redditi in Italia, Bologna, Il Mulino.
  • Franzini M., E. Granaglia e M. Raitano (2014), Dobbiamo preoccuparci dei ricchi? Le disuguaglianze estreme nel capitalismo contemporaneo, Bologna, Il Mulino.
  • Franzini M. e M. Pianta (2016), Le disuguaglianze. Quante sono, come combatterle, Roma-Bari, Laterza.
  • Franzini M. e M. Raitano (2018a), “Le tendenze della disuguaglianza dei redditi disponibili e di mercato”, in M. Franzini e M. Raitano (a cura di), Il mercato rende diseguali? La distribuzione dei redditi in Italia, Bologna, Il Mulino.
  • Franzini M. e M. Raitano (2018b), “I redditi da lavoro e le origini familiari”, in M. Franzini e M. Raitano (a cura di), Il mercato rende diseguali? La distribuzione dei redditi in Italia, Bologna, Il Mulino.
  • Franzini M. e M. Raitano (2019), “Why education is not enough? Earnings inequality and workers’ skills: Evidence from Italy”, Structural Change and Economic Dynamics, 51, 215-224.
  • Menabò (2019), “Disuguaglianza e…”, Menabò di Etica e Economia, 100. Link
  • Rosen S. (1981), “The Economics of Superstars”, American Economic Review, 71, 845-858.
  • Schlozman K.L., H.E. Brady e S. Verba (2018), Unequal and Unrepresented, Princeton University Press.

 

Suggerimenti di lettura

  • Atkinson A. (2015), Inequality: What Can Be Done?, Cambridge (MA), Harvard University Press (trad. it. Disuguaglianza. Che cosa si può fare, Milano, Cortina, 2015).
  • Franzini M. e M. Pianta (2016), Le disuguaglianze. Quante sono, come combatterle, Roma-Bari, Laterza.
  • Piketty T. (2014), Capital in the Twenty-First Century, Cambridge (MA), Harvard University Press (trad. it. Il capitale nel XXI secolo, Milano, Bompiani, 2016).
  • Stiglitz J. (2012), The price of inequality, New York, Allen Lane (trad. it. Il prezzo della disuguaglianza, Torino, Einaudi, 2013).
Maurizio Franzini
Maurizio Franzini è professore ordinario di Politica Economica nell’Università di Roma “La Sapienza”. È Direttore del Centro Interuniversitario di Ricerca “Ezio Tarantelli” (CIRET) e della rivista online “Menabò di Etica e Economia”. È membro del Consiglio dell’Istat di cui è stato Presidente f.f. tra agosto 2018 e febbraio 2019. È responsabile scientifico del programma VisitINPS. È autore di circa 200 pubblicazioni scientifiche su riviste e presso editori nazionali e internazionali.

Progetto realizzato da

Fondazione Ermanno Gorrieri per gli studi sociali

Con il contributo di

Fondazione Cassa di Risparmio di Modena