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Il "Glossario delle disuguaglianze sociali" mira a realizzare una raccolta di voci specificamente dedicate alla problematica delle disuguaglianze economiche e sociali, nella prospettiva di uno strumento di conoscenza e di informazione di base, durevole e continuativo. Le voci presenti sul portale - curate da professori, ricercatori ed esperti sui temi di interesse del Glossario - rappresentano il solido inizio di un progetto sempre attivo e in continua espansione. Pertanto, se pensi che sia ancora assente nel Glossario qualche argomento di rilevo nello studio delle disuguaglianze sociali, non esitare a segnalarcelo (glossario@fondazionegorrieri.it).

Salario minimo

Scritto da: Andrea Garnero

 

Che cos'è e come funziona il salario minimo?

Il salario minimo è la remunerazione minima che un datore di lavoro è tenuto a pagare a un lavoratore dipendente per il lavoro svolto durante un determinato periodo che non può essere ridotto da un contratto individuale o, se fissato per legge, da un contratto collettivo. Il salario minimo non va confuso con il reddito minimo.

Un salario minimo può essere fissato per legge o dalla contrattazione collettiva. 29 dei 37 paesi OCSE hanno un salario minimo fissato legge sotto varie forme. In alcuni paesi il minimo legale è fissato a livello nazionale, come in Francia, Germania (dal 2015) o Regno Unito. In altri paesi è fissato a livello sub-nazionale: questo è tipicamente il caso di paesi federali o di grandi dimensioni come gli Stati Uniti (in cui addirittura può essere stabilito a livello di città), Messico, Giappone, Cina o Brasile. In alcuni casi il salario minimo legale può essere definito anche solo per alcuni settori (come nel caso della Germania prima dell’introduzione del minimo nazionale nel 2015) o per specifiche occupazioni (come a Cipro).

In alcuni paesi, il valore del salario minimo è definito per scelta politica, come negli Stati Uniti, e quindi soggetto alle maggioranze del momento. In altri paesi è lasciato alle parti sociali (tipo in Belgio), in altri ancora è nelle mani di una commissione specifica (tipo la Low Pay Commission britannica o la Mindestlohn Kommission tedesca) che, con il coinvolgimento di parti sociali ed esperti, hanno il ruolo di promuovere un dibattito informato e non politico e dare consigli, normalmente seguiti, al Governo o Parlamento.

Il valore del salario minimo varia fortemente tra i paesi OCSE (Figura 1). Va dal 35% del salario mediano negli Stati Uniti a oltre il 70% in Cile o Turchia (dove, però la parte di lavoratori informali spinge il salario mediano al ribasso). Tuttavia, questi valori lordi del salario minimo non forniscono un quadro accurato della retribuzione netta dei lavoratori, né dei costi derivanti dall'assunzione di lavoratori con salario minimo per le imprese. Infatti, per ridurre i costi dei datori di lavoro e il rischio di perdite occupazionali, alcuni paesi, in particolare la Francia, hanno introdotto consistenti riduzioni dei contributi previdenziali per i datori di lavoro per le imprese che impiegano lavoratori con salario minimo. Altri paesi hanno tentato di aumentare l'efficacia del salario minimo utilizzando riduzioni mirate delle imposte sul reddito o dei contributi sociali dei dipendenti per i lavoratori a basso reddito. Alcuni paesi offrono crediti d'imposta o benefici in-lavoro rivolti a lavoratori a basso reddito (ad esempio Belgio, Messico, Regno Unito), mentre altri si basano su imposte progressive sul reddito per mantenere gli oneri fiscali dei lavoratori a basso reddito ben al di sotto di quelli applicabili al lavoratore medio (es. Nuova Zelanda).

 

Figura 1. Salari minimi lordi e netti e costo del lavoro al salario minimo nei paesi dell'OCSE con salario minimo legale. Anno 2016

Note: I valori sono espressi in percentuale della retribuzione media lorda, della retribuzione media netta e del costo medio della manodopera rispettivamente. Il costo del lavoro è calcolato come il salario minimo lordo a cui si aggiungono i contributi previdenziali del datore di lavoro. I dati si riferiscono a una persona sola senza figli di 40 anni che lavora a tempo pieno. Si includono anche i sussidi in denaro per assistenza sociale e alloggio se disponibili. Il Messico non è incluso perché assente nel modello TaxBen dell’OCSE.
Fonte: Database delle politiche del mercato del lavoro dell'OCSE e modello TaxBen dell'OCSE. 

 

In Italia, ma anche in Austria, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Svezia e Svizzera non esiste un salario minimo legale, ma i minimi salariali sono fissati per contrattazione collettiva a livello settoriale. Con un adeguato livello di copertura dei contratti collettivi, minimi legali o contrattuali sono pressoché equivalenti, ma con copertura della contrattazione declinante, l’introduzione di un minimo legale può diventare necessaria per coprire quei lavoratori che i contratti collettivi lasciano scoperti (come avvenuto negli anni 1990 nel Regno Unito o recentemente in Germania che ha introdotto un salario minimo nazionale nel 2015).

 

L’impatto del salario minimo su occupazione, disuguaglianze e povertà

I salari minimi sono la leva politica più diretta che i governi hanno per influenzare il salario e hanno l’obiettivo di proteggere i lavoratori da salari eccessivamente bassi. Il loro impatto sul mercato del lavoro è, da decenni, fonte di controversie senza fine tra gli economisti. Alan Manning, professore alla London School of Economics e uno dei riferimenti sul tema, sul suo sito dice di aver scritto al riguardo “più articoli di ricerca di quanto sarebbe giustificato dall’importanza del tema”. In un modello da prima lezione di microeconomia un salario fissato sopra a quello di mercato (cioè quello che spontaneamente sorge dall’incontro tra domanda e offerta) genera disoccupazione. Però gli studi empirici non sembrano in linea con le conclusioni della teoria base. Card e Krueger (1994), per esempio, furono tra i primi a evidenziare che il salario minimo potrebbe non avere effetti negativi sull’occupazione. Neumark e Wascher (2008), invece, rimangono convinti che si tratti di uno strumento che rischia di danneggiare più che beneficiare i lavoratori deboli; e il dibattito continua.

Da un’analisi della letteratura disponibile, si può concludere che, stanti gli attuali livelli di salario minimo, l’effetto sull’occupazione sia o nullo o limitato e circoscritto alle fasce più deboli come giovani alle prime esperienze o lavoratori poco qualificati. Questo risultato in contraddizione con un modello di mercato del lavoro in concorrenza perfetta può essere il risultato di un funzionamento non perfettamente competitivo del mercato del lavoro (anche il libro di microeconomia base suggerisce che in caso di monopsonio, un salario minimo può aumentare l’occupazione invece di ridurla) oppure dovuto alla presenza di altri canali di aggiustamento oltre all’occupazione, come minori profitti, maggiore produttività o incremento dei prezzi che hanno trovato qualche conferma nella letteratura (si veda Allegretto and Reich, 2018; Draca et al., 2011 e Riley and Rosazza-Bondibene, 2017).

Quale ruolo può giocare il salario minimo contro la disuguaglianza e la povertà? Retribuzioni minime più elevate sono associate a una disuguaglianza salariale più bassa (OCSE, 2015a). Questo avviene per un effetto meccanico dato che un minimo legale tronca la parte bassa della distribuzione salariale (o perché i lavoratori pagati del minimo vedono il loro salario aumentare o perché vengono licenziati) ma anche per un effetto “onda” sul resto della distribuzione: per mantenere un minimo di differenziale tra lavoratori con diversi ruoli e competenze anche i salari superiori al minimo tendono ad aumentare. Un salario minimo legale, poi, può anche ridurre la crescita dei salari nella parte superiore della distribuzione (perché i datori di lavoro non possono permettersi aumenti equivalenti), contribuendo a ridurre ulteriormente la disparità salariale (Hirsch et al., 2015). Se si considera l’intera vita lavorativa, l’effetto “pre-distributivo” del salario minimo è sempre presente ma inferiore per effetto della mobilità salariale oltre ai minimi nel corso della carriera (OCSE, 2015b).

In compenso un salario minimo legale è uno strumento solo parziale nella lotta alla povertà, anche limitatamente alla povertà lavorativa. Situazioni di povertà possono emergere da paghe orarie basse, ma sono soprattutto determinate dall’avere un lavoro o meno, dall’intensità di questo lavoro (poche ore o a tempo pieno) e dalla composizione familiare. Un salario minimo legale può solo assicurare un minimo orario, ma niente di più. Inoltre, il salario minimo non sempre corrisponde a quello che gli inglesi chiamano un living wage, cioè un salario sufficiente per vivere. Così, un salario minimo legale, uguale in tutto il Paese può permettere di vivere dignitosamente in una zona di campagna ma essere del tutto inadeguato nel centro della capitale. Inoltre il salario minimo non riguarda solo i poveri. In Francia, per esempio, solo il 23% dei lavoratori pagati al salario minimo è povero.

In un’ottica di lotta alla povertà, quindi, un salario minimo deve essere completato da altri strumenti e in particolare forme di prestazioni sociali per chi lavora (in-work benefits) che sostengano il reddito senza disincentivare il lavoro.

 

Riferimenti bibliografici

  • Allegretto S. e M. Reich (2018), “Are local minimum wages absorbed by price increases? Estimates from internet-based restaurant menus”, ILR Review, 71(1), 35-63.
  • Card D. e A. B. Krueger (1994), “Minimum Wages and Employment: A Case Study of the Fast-Food Industry in New Jersey and Pennsylvania”, American Economic Review, 84(4), 772-793.
  • Draca M., S. Machin e J. van Reenen (2011), “Minimum Wages and Firm Profitability”, American Economic Journal: Applied Economics, 3, 129-151.
  • Hirsch B., B. E. Kaufman e T. Zelenska (2015), “Minimum Wage Channels of Adjustment”, Industrial Relations, 54(2), 199-239.
  • Neumark D. e W. Wascher (2008), Minimum Wages, Cambridge (MA), MIT Press.
  • OCSE (2015a), “Recent labour market developments with a focus on minimum wages”, in OECD Employment Outlook 2015, Parigi, OECD Publishing.
  • OCSE (2015b), “The quality of working lives: Earnings mobility, labour market risk and long-term inequality”, in OECD Employment Outlook 2015, Parigi, OECD Publishing.
  • Riley R. e C. Rosazza Bondibene (2017), “Raising the standard: Minimum wages and firm productivity”, Labour Economics, 44(C), 27-50.

 

Suggerimenti di lettura

  • Boeri T. e J. van Ours (2009), Economia dei mercati del lavoro imperfetti, Milano, EGEA.
  • ​OCSE (2015), “Recent labour market developments with a focus on minimum wages”, in OECD Employment Outlook 2015, Parigi, OECD Publishing.
Andrea Garnero
Andrea Garnero è economista presso il Dipartimento Lavoro e Affari Sociali dell'OCSE e membro del gruppo di esperti sul salario minimo del governo francese. Ha ottenuto il PhD in economia presso la Paris School of Economics e l'Université Libre de Bruxelles. In precedenza, ha lavorato alla Commissione Europea e come assistente per gli affari economici e il G20 del Presidente del Consiglio. È membro del board scientifico ed esecutivo della Scuola di Politiche.

Progetto realizzato da

Fondazione Ermanno Gorrieri per gli studi sociali

Con il contributo di

Fondazione Cassa di Risparmio di Modena