Glossario

Il "Glossario delle disuguaglianze sociali" mira a realizzare una raccolta di voci specificamente dedicate alla problematica delle disuguaglianze economiche e sociali, nella prospettiva di uno strumento di conoscenza e di informazione di base, durevole e continuativo. Le voci presenti sul portale - curate da professori, ricercatori ed esperti sui temi di interesse del Glossario - rappresentano il solido inizio di un progetto sempre attivo e in continua espansione. Pertanto, se pensi che sia ancora assente nel Glossario qualche argomento di rilevo nello studio delle disuguaglianze sociali, non esitare a segnalarcelo (glossario@fondazionegorrieri.it).

Disuguaglianze nell'accesso alla salute

Scritto da: Nerina Dirindin

 

Premessa

Le diseguaglianze nella salute entrano nel dibattito politico e scientifico nel 1980, quando il Dipartimento Sanità e Sicurezza Sociale del Regno Unito pubblica il Black Report (dal nome del presidente del Royal College of Physicians). Il rapporto documenta come la cattiva salute e la morte siano distribuite in modo non equo tra la popolazione, le differenze siano principalmente attribuibili alle condizioni sociali degli individui (reddito, istruzione, abitazione, alimentazione, occupazione) e possano essere combattute con articolate strategie di politica sociale. Il rapporto, sostanzialmente disconosciuto dal governo dell’epoca, segna lo sviluppo di un filone di studio che dispone oggi di numerose evidenze scientifiche.

Nel 2005 l’Organizzazione Mondiale della Sanità istituisce la Commissione sui determinanti sociali della salute composta da qualificati studiosi di tutto il mondo, compreso Giovanni Berlinguer, uno dei primi studiosi del legame fra salute e condizioni di vita e lavoro della popolazione. Dopo tre anni, la Commissione pubblica il rapporto Closing the gap in a generation nel quale identifica gli ambiti su cui lavorare per ridurre le diseguaglianze di salute, ovvero le condizioni di vita delle persone e la distribuzione del potere e delle risorse (Commission on Social Determinants of Health, 2008).

In realtà, anche prima del Black Report le diseguaglianze nella salute sono state - seppur indirettamente - oggetto di importanti studi volti a indagare la relazione tra la salute e le condizioni di vita della popolazione, in particolare il benessere economico. Gli studi indicano una forte correlazione fra la mortalità e il reddito pro capite.

L’aumento del reddito influenza un insieme di variabili, quali l’istruzione, l’alimentazione, gli stili di vita e il tempo libero in grado di influire sui livelli di salute delle persone. Si tratta di una serie di interrelazioni piuttosto complesse e non ancora sufficientemente indagate. È verosimile ad esempio che, a parità di reddito, più alti livelli di istruzione siano associati a migliori condizioni di salute: una maggiore educazione rende gli individui più «efficienti» nella produzione di salute, cioè più attenti ai fattori di rischio, più rapidi nel riconoscimento dei sintomi della malattia, più accorti nella scelta degli interventi da intraprendere. È anche possibile che le migliori condizioni di salute favoriscano un aumento del reddito individuale (attraverso una maggiore quantità di tempo disponibile in «buona salute» da destinare ad attività lavorative). Cosicché i più istruiti hanno maggiori probabilità di stare bene e, date le loro buone condizioni di salute, hanno più possibilità di migliorare la loro condizione economica e quindi la loro salute. Al contrario, i meno istruiti soffrono più frequentemente di cattive condizioni di salute e, di conseguenza, rischiano di diventare via via anche più poveri. Si tratta di fenomeni che si rinforzano a vicenda, in un processo a spirale in cui le diverse variabili sono allo stesso tempo causa ed effetto di successivi cambiamenti. Ne risulta una chiara relazione tra diseguaglianze socio-economiche e diseguaglianze di salute.

La salute di una popolazione è correlata non solo al livello del reddito ma anche alla sua distribuzione: gli studi suggeriscono che, nelle economie occidentali, un’ulteriore riduzione della mortalità può essere realizzata principalmente attraverso l’adozione di politiche attive di redistribuzione del reddito e di miglioramento delle condizioni di vita dei più poveri. Perché le diseguaglianze economiche nuocciono alla coesione sociale, elemento cruciale per la salute e la qualità della vita di tutta la popolazione. Una diseguale distribuzione del reddito danneggia la salute di tutti, ricchi e poveri, «ma danneggia la salute dei poveri molto più di quanto danneggi quella dei ricchi» (Marmot, 2015).

 

La povertà è il primo fattore di rischio per la salute

«Non essere povero. Se lo sei, cerca di smettere» (Marmot, 2015). È la prima delle 10 raccomandazioni che il Prof. Gordon della Bristol University scrisse nel 1999 per esortare gli individui a preservare la loro salute. La raccomandazione, volutamene provocatoria, segue un approccio alternativo rispetto a quello tradizionale - che pone l’enfasi sulla responsabilità individuale nella prevenzione delle malattie - e si concentra sul ruolo dei determinanti sociali della salute.

Nel formulare le raccomandazioni, Gordon evoca il classico suggerimento degli oncologi «Non fumare. Se puoi, smetti. Se non ce la fai, riduci il numero di sigarette che fumi quotidianamente». Difficile non concordare con l’invito a smettere di fumare, ma sappiamo che non basta, perché trascura elementi che sono in gran parte al di fuori del controllo dei singoli individui. Un approccio alternativo, sempre di sanità pubblica ma capace di evocare la «causa delle cause» è quello che mette al primo posto l’esortazione di Gordon: «Non essere povero. Se puoi smetti, Se non ci riesci, cerca di essere povero per il minor tempo possibile».

La povertà è infatti il primo fattore di rischio per la salute. Sostenere la responsabilità del singolo rispetto alla propria salute è importante, ma ancor più cruciale è contrastare ovunque possibile la dimensione sociale, materiale e politica che mette a rischio la salute delle persone e che richiede interventi pubblici di tipo intersettoriale.

Le altre nove raccomandazioni di Gordon sottolineano altrettanti fattori di rischio per la salute, troppo spesso trascurati:

  • Non abitare vicino ad una strada piena di traffico o ad una fabbrica che inquina. Se ci abiti, cerca di traslocare.
  • Cerca di non trovarti in condizione di disabilità.
  • Non fare un lavoro manuale, malpagato e stressante.
  • Non vivere in una casa umida o di bassa qualità.
  • Cerca di essere in grado di pagarti una vacanza ogni anno.
  • Fa’ in modo di non perdere il lavoro e di non rimanere disoccupato.
  • Richiedi tutti i benefici cui hai diritto.
  • Cerca di non essere un genitore solo.
  • Usa l’istruzione per migliorare la tua posizione socio-economica.

È ormai chiaro che le diseguaglianze sociali nella salute, tra paesi e all’interno degli stessi, nascono dalle diseguaglianze della società e sono un importante indicatore del grado di giustizia sociale e del livello di civiltà di un paese. «Spesso i dibattiti etici su giustizia e salute tendono a concentrarsi sull’accesso all’assistenza sanitaria. Ma riconoscere che la salute è fortemente influenzata dai determinanti sociali sposta la discussione sull’organizzazione della società” (Marmot, 2015).

 

Le crisi economiche incidono sulla salute anche a causa dei tagli al welfare

Le evidenze mostrano come gli effetti negativi di una recessione economica si concentrino sui soggetti già a rischio o in situazioni di povertà, disoccupazione, esclusione sociale o scarsa salute. Tali effetti sono spesso controbilanciati (e quindi mascherati nei dati aggregati) dal miglioramento delle condizioni di coloro che durante una crisi economica possono vedere addirittura migliorare le proprie condizioni, in particolare coloro che posseggono redditi e patrimoni elevati.

I meccanismi attraverso i quali le crisi economiche producono effetti sulla salute della popolazione, sono in buona parte chiari, anche se ancora oggetto di studio e dibattito. Le evidenze più significative provengono dagli studi sulla crisi che seguì la disgregazione dell’Unione Sovietica e sulla situazione della Grecia. Con riguardo alla crisi finanziaria iniziata nel 2008, e che ha colpito anche il nostro Paese, è invece ancora presto per trarre conclusioni definitive. Il dibattito politico è inoltre piuttosto scarso: come acutamente osservato da McKee e Stuckler (2016), “raramente i problemi di salute attirano l’attenzione della politica e dei media, a meno che non minaccino le élite privilegiate”.

I principali fattori di spiegazione possono essere così riassunti: le crisi aumentano le povertà e le diseguaglianze (materiali, psicologiche e culturali), fanno crescere la disoccupazione (e la precarietà), cambiano le condizioni di lavoro e modificano i livelli di coesione sociale all’interno delle comunità. Ovviamente la dimensione degli effetti dipende dall’insieme degli interventi redistributivi e di protezione sociale adottati nei diversi paesi, ma nella maggior parte dei casi le crisi sono accompagnate da restrizioni ai sistemi di protezione sociale: di fronte alla depressione economica (e conseguentemente umana), la scure dei tagli alla spesa pubblica si abbatte infatti proprio sulle politiche universali su cui si fonda la coesione sociale, la sanità in primis.

 

Il legame tra istruzione e salute in Italia

Gli studi sul legame fra istruzione e salute indicano che più alti livelli di istruzione sono associati a migliori condizioni di salute. Il titolo di studio è una variabile proxy dello status socio economico di un individuo. In quanto facilmente misurabile e largamente disponibile, il livello di istruzione è l’indicatore più frequentemente utilizzato nelle analisi sulle diseguaglianze di salute per classe sociale.

Per l’Italia, la pubblicazione dell’Istat sulla mortalità per grado di istruzione consente di documentare la mortalità differenziale a seconda del livello di scolarità. I dati confermano che il titolo di studio è un indicatore altamente predittivo della mortalità (Tabella 1). I rapporti standardizzati di mortalità, i quali indicano il tasso di mortalità di ciascun gruppo di individui opportunamente corretto per tener conto della diversa composizione della popolazione per classe di età, decrescono regolarmente a mano a mano che aumenta il livello di istruzione di un individuo. Fra le persone di sesso maschile, bassi livelli di scolarità (nessun titolo di studio o licenza elementare) sono associati ad un tasso di mortalità superiore del 55% rispetto a quello dei laureati; fra le donne il differenziale è meno rilevante (dell’ordine del 35% in più) ed è particolarmente pronunciato al sud (mortalità 3,4 volte maggiore rispetto alle laureate).

 

Tabella 1. Tassi standardizzati di mortalità per titolo di studio in Italia. Anni 2012-2014

 

Uomini

Donne

Nessun titolo di studio o licenza elementare

137,45

155

76,97

135

Licenza media inferiore

119,29

135

68,52

120

Diploma di scuola media superiore

105,02

119

62,24

109

Laurea o titolo di studio superiore

88,41

100

57,11

100

Totale

119,75

 

70,82

 

Note: Tassi per 10.000 residenti (età 25-89); in corsivo NI laureato = 100. Fonte: Dati Istat 2017.

 

In altre parole, un uomo con la laurea può contare di vivere 5,2 anni in più di chi ha conseguito al massimo la licenza elementare. Per le donne il vantaggio è inferiore: 2,7 anni (Costa et al., 2015).

Tali diseguaglianze si riproducono anche a livello locale. Illuminante è l’analisi della mortalità a Torino: chi sale sul tram che dalla collina alto-borghese della città porta alla barriera operaia del quartiere Vallette assiste inconsapevolmente alla perdita di mezzo anno di speranza di vita ogni chilometro di strada percorso lungo i quartieri: più di quattro anni di aspettativa di vita separano i benestanti della collina dagli abitanti degli isolati più poveri del quartiere operaio (Costa et al. 2015).

I divari interessano anche i fattori di rischio prevenibili con interventi sanitari appropriati, rispetto ai quali assumono rilevanza le condizioni di accesso alle prestazioni sanitarie.

Sintetizzando, sufficienti evidenze empiriche mostrano che, a parità di ogni altra condizione, le classi socio-economiche più svantaggiate (e meno istruite) godono di peggiori condizioni di salute e sono meno in grado di trarre beneficio dal sistema sanitario esistente.

 

Riferimenti bibliografici

  • Commission on Social Determinants of Health (2008), Closing the Gap in a Generation: Health Equity Through Action on the Social Determinants of Health, Ginevra, Organizzazione Mondiale della Sanità.
  • Costa G., R. Crialesi, A. Migliardi, L. Gargiulo, G. Sebastiani, P. Ruggeri, I.F. Menniti (2016), “Salute in Italia e livelli di tutela: approfondimenti dalle indagini ISTAT sulla salute”, Rapporti ISTISAN 16/26, Roma, Istituto Superiore di Sanità.
  • Marmot M. (2015), The health gap. The challenge of an unequal world, (trad. it. La salute disuguale, La sfida di un mondo ingiusto, Il Pensiero Scientifico Editore, 2016).
  • McKee M., D. Stuckel (2016), “Health effects of the financial crisis: lessons from Greece”, The Lancet Public Health, 1(2), e40-e41.

 

Suggerimenti di lettura

  • Dirindin N. e E. Caruso (2019), Economia e Salute, Bologna, Il Mulino.
  • Marmot M. (2015), The health gap. The challenge of an unequal world, (trad. it. La salute disuguale, La sfida di un mondo ingiusto, Il Pensiero Scientifico Editore, 2016).
Nerina Dirindin
Nerina Dirindin è un’economista che si è sempre occupata di welfare e di politiche sanitarie. Professore dell’Università di Torino, ora in pensione, ha arricchito la propria preparazione accademica con varie esperienze istituzionali. Ha promosso il Master in Economia e politica sanitaria dell’Università di Torino. È presidente dell’Associazione Salute Diritto Fondamentale. È autrice di numerose pubblicazioni fra le quali un manuale di Economia e salute (Il Mulino 2019) e In difesa della sanità pubblica (EGA, 2018).

Progetto realizzato da

Fondazione Ermanno Gorrieri per gli studi sociali

Con il contributo di

Fondazione Cassa di Risparmio di Modena