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Disuguaglianza intergenerazionale

Scritto da: Michele Raitano

 

Gli studi sulla diseguaglianza intergenerazionale indagano se, e attraverso quali meccanismi, le caratteristiche della famiglia d’origine condizionino i redditi ottenuti dai figli nell’età adulta. Quando si parla di tale forma di diseguaglianza non ci si riferisce, dunque, alla condizione relativa di due generazioni contemporanee di individui appartenenti a coorti diverse – ovvero al tenore di vita e alle opportunità dei “giovani” rispetto agli “anziani” – ma all’intensità dell’associazione fra i redditi dei figli e le caratteristiche (possibilmente i redditi) dei loro genitori.

 

Principali metodi di misurazione

La misura più utilizzata a questo fine è il coefficiente di elasticità intergenerazionale b che indica quanto varia il reddito del figlio al variare di quello del genitore. Più b è alto, più i divari distributivi fra i genitori si trasmettono ai rispettivi figli: ad esempio, un b pari a 0,50 indica che, in media, tra i figli si osserva il 50% della differenza dei redditi che c’era fra i loro genitori. Un’ulteriore misura, preferita da chi vuole depurare la misura dell’associazione intergenerazionale dalla variazione della diseguaglianza dei redditi fra le generazioni dei genitori e dei figli, è la correlazione fra ranghi (rank rank slope), ovvero fra le posizioni (percentili) occupate lungo la rispettiva distribuzione dei redditi da genitori e figli; un rank-rank slope pari a 0,3 ci dice, ad esempio, che i figli di due genitori che distano 3 decili lungo la distribuzione dei redditi, disteranno fra loro 9 percentili.

L’elasticità intergenerazionale viene stimata attraverso una regressione con il metodo dei minimi quadrati ordinari fra (logaritmo dei) redditi dei figli e dei genitori. Similmente, la correlazione fra ranghi viene stimata regredendo il percentile occupato dai figli su quello dei genitori. Le stime delle misure di associazione intergenerazionale pongono, però, numerose difficoltà metodologiche.

In primo luogo, occorrono dati panel che seguano nel tempo più generazioni di una stessa famiglia, ma tali dati esistono in pochi paesi (Regno Unito e Stati Uniti, dove fin dagli anni ’50 sono stati sviluppati panel per coorti di nascita, e i paesi del Nord Europa, dove si fa ampio uso degli archivi amministrativi). Se, come nel caso dell’Italia, mancano generalmente informazioni sui redditi dei genitori durante l’adolescenza dei figli, si possono applicare tecniche di stima a due stadi. Nel primo, si usa un campione di “pseudo-genitori”, ovvero individui contemporanei dei genitori effettivi, e si studia l’associazione fra il reddito e una serie di caratteristiche (quali istruzione e occupazione). Nel secondo, facendo uso delle risposte dei figli a una serie di domande sulle caratteristiche dei genitori considerate nel primo stadio, si predice il reddito dei genitori sulla base della stima del primo stadio e si calcola l’elasticità intergenerazionale.

In secondo luogo, quest’ultima dovrebbe cogliere l’associazione fra condizioni “permanenti” di genitori e figli, senza essere influenzata da possibili variazioni temporanee di queste. La diseguaglianza intergenerazionale sarebbe, infatti, sottostimata se i redditi di genitori e figli fossero rilevati in un unico punto del tempo o se quelli dei figli fossero osservati a età troppo giovani, quando l’influenza delle origini familiari potrebbe non avere ancora manifestato tutti i suoi effetti. In particolare, quando i genitori sono osservati per un numero limitato di anni, l’associazione intergenerazionale risulta sottostimata (si parla di attenuation bias) e, similmente, un’ampia sottostima si ottiene quando i redditi dei figli sono osservati quando questi hanno età relativamente giovani (si parla in questo caso di lifecycle bias). Per evitare queste distorsioni nelle stime, occorre osservare i figli nelle età centrali – gli uomini intorno ai 40 anni, mentre per le donne, a causa dei diversi tassi di partecipazione e agli effetti della maternità sulle dinamiche retributive, è più complicato trovare un’età in cui il reddito annuale sia una buona stima di quello permanente – e, ove possibile, calcolare medie pluriennali dei redditi dei genitori. Basi di dati che consentano di stimare la relazione dei redditi “permanenti” di genitori e figli (ovvero lungo la loro intera vita o, quantomeno, carriera) non sono, tuttavia, disponibili in nessun paese.

La diseguaglianza intergenerazionale dovrebbe essere misurata con riferimento ad ogni fonte di reddito e guardare all’associazione fra genitori e figli di ogni genere. In realtà, a causa di limiti nei dati e complessità metodologiche (legate anche alla minore partecipazione attiva delle donne), le analisi si riferiscono generalmente a coppie di padri e figli maschi e ai soli redditi da lavoro (spesso escludendo anche quelli da lavoro autonomo). L’esclusione dei redditi da capitale porta a sottostimare la diseguaglianza intergenerazionale: questi redditi sono, infatti, maggiormente persistenti fra generazioni, dato che la ricchezza (mobiliare e immobiliare) può essere direttamente trasferita mentre (salvo alcuni casi limite) i redditi da lavoro non possono essere ereditati dai figli.

Dalle analisi empiriche, i cui limiti, per le ragioni appena esposte, vanno tenuti presenti, emerge una chiara graduatoria dei paesi OCSE (figura 1, basata su una rassegna curata da Corak, 2013). I paesi del Nord Europa e il Canada sono caratterizzati da un grado di diseguaglianza intergenerazionale relativamente minore, mentre Stati Uniti (contrariamente alla visione romanzata della “terra delle opportunità”), Svizzera, Regno Unito e Italia sono (e di molto) i paesi con maggiore persistenza intergenerazionale.

 

Figura 1. Elasticità intergenerazionale delle retribuzioni di genitori e figli in alcuni paesi OCSE

 

Meccanismi alla base della disuguaglianza intergenerazionale

Ma da cosa dipende l’associazione dei redditi da lavoro di genitori e figli? A differenza di quanto accade con i redditi da capitale, salvo casi aneddotici, i genitori non possono trasferire direttamente reddito da lavoro ai propri figli. Tale associazione si manifesta allora quando i genitori – per via genetica o, più probabilmente, attraverso meccanismi legati alla disponibilità di risorse economiche o alla trasmissione di valori, collegati anche al contesto sociale in cui si vive – influenzano alcune caratteristiche dei figli, dalle quali dipendono le loro prospettive retributive. Un elenco non esaustivo di tali caratteristiche include le motivazioni e le preferenze (in primis verso lo studio), lo stato di salute, l’istruzione e la sua qualità, le abilità cognitive e le competenze extra-scolastiche, le abilità non cognitive, il capitale economico per intraprendere attività autonome o proseguire quelle di famiglia nonché l’insieme di connessioni sociali in cui si è inseriti.

La trasmissione intergenerazionale delle diseguaglianze discende, allora, sia dall’influenza dei genitori sulla dotazione dei figli di tali caratteristiche, sia dal rendimento che i mercati assegnano a queste ultime (ad esempio, dal premio assegnato dal mercato del lavoro al diverso titolo di studio o alle connessioni sociali di cui si dispone). Le differenze fra paesi rispetto alla diseguaglianza intergenerazionale derivano, dunque, sia dalla diversa distribuzione delle caratteristiche trasmesse (quanto e in che modo i genitori riescono a influenzare le caratteristiche dei figli, in primis la loro istruzione) sia dalla loro diversa valutazione nel mercato del lavoro (quanto, e per quali ragioni, i mercati pagano diversamente figli dotati di diverse caratteristiche).

La letteratura economica ritiene, generalmente, che la principale determinante della diseguaglianza intergenerazionale sia l’investimento in capitale umano, riconducibile all’istruzione dei figli. I figli dei genitori più abbienti hanno, in media, un titolo di studio più elevato, per una varietà di circostanze che vanno dalle preferenze trasmesse alla possibilità anche economica di studiare più e meglio. Se la retribuzione varia con il titolo di studio, la diseguaglianza tenderà a persistere e gli avvantaggiati saranno considerati meritevoli perché più produttivi. Ma alla base di tale “merito” vi è spesso un vantaggio familiare.

È però importante indagare anche quanta parte della trasmissione intergenerazionale sia “mediata” dal titolo di studio e quanta, invece, emerga a parità di quest’ultimo. Un premio salariale aggiuntivo, a parità di istruzione, per chi proviene da contesti familiari più favorevoli dipende, infatti, dal valore, attribuito dai mercati a ulteriori caratteristiche dei figli ad esempio, diversa qualità di scuole e università frequentate, altre abilità individuali (cognitive e non cognitive) o connessioni sociali che possono generare fenomeni di nepotismo che consentono a chi ha origini migliori di occupare i posti di lavoro più prestigiosi e remunerativi. La remunerazione da parte dei mercati di queste ulteriori caratteristiche di cui sono dotati i figli a seconda della famiglia di origine può essere valutata più o meno accettabile dal punto di vista dell’equità di opportunità (quando solo i figli dei più abbienti riescono a dotarsi di queste caratteristiche) e dell’efficienza (quando i mercati premiamo, come forma di rendita, “abilità non produttive” degli individui, come le loro relazioni sociali). Oltre che il funzionamento dei sistemi di istruzione, su cui si è principalmente soffermata la letteratura sul tema, il modo in cui funzionano i mercati sembra, dunque, un ulteriore elemento cruciale per valutare i meccanismi di trasmissione intergenerazionale della diseguaglianza e la loro accettabilità in termini sia di eguaglianza di opportunità che di efficienza.

 

Riferimenti bibliografici

  • Corak M. (2013), “Income inequality, equality of opportunity, and intergenerational mobility”, Journal of Economic Perspectives, 27(3), pp. 79–102.

 

Suggerimenti di lettura

  • Barbieri T., F. Bloise, M. Raitano (2020), “Intergenerational Earnings Inequality: New Evidence from Italy”, Review of Income and Wealth, 66(2), pp. 418-443.
  • Bjorklund A., M. Jäntti (2009), “Intergenerational income mobility and the role of family background”, in Salverda W., Nolan B., Smeeding T. (a cura di) Oxford Handbook of Economic Inequality. Oxford, Oxford University Press.
  • Checchi D., (a cura) (2010) Immobilità diffusa. Perché la mobilità intergenerazionale è così bassa in Italia, Bologna, Il Mulino.
  • Franzini M., F. Patriarca, M. Raitano (2020), “Market competition and parental background wage premium: the role of human and relational capital”, Journal of Economic Inequality, 18, pp. 291-317.
  • Haider S., G. Solon (2006), “Life-cycle variation in the association between current and lifetime earnings”, American Economic Review, 96(4), pp. 1308–1320.
  • Raitano M., F. Vona (2015), “Measuring the link between intergenerational occupational mobility and earnings: evidence from 8 European Countries”, Journal of Economic Inequality, 13, pp. 83-102.
  • Solon G. (2004), “A model of intergenerational mobility variation over time and place”, in M. Corak (a cura di) Generational Income Mobility in North America and Europe, Cambridge, Cambridge University Press.
Michele Raitano
Michele Raitano è Professore Associato di Politica Economica nel Dipartimento di Economia e Diritto della Sapienza, Università di Roma e membro della Redazione del “Menabò di Etica e Economia. Ha recentemente pubblicato, con Maurizio Franzini e Elena Granaglia, "Dobbiamo preoccuparci dei ricchi? Le disuguaglianze estreme nel capitalismo contemporaneo", Il Mulino, 2014.

Progetto realizzato da

Fondazione Ermanno Gorrieri per gli studi sociali

Con il contributo di

Fondazione Cassa di Risparmio di Modena