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Distribuzione del reddito

Scritto da: Maurizio Franzini

 

L’originaria attenzione per la distribuzione funzionale dei redditi

La distribuzione del reddito può essere analizzata dal punto di vista funzionale o personale. Nel primo caso l’attenzione è rivolta al modo in cui il prodotto nazionale si distribuisce tra i fattori che contibuiscono ad ottenerlo: lavoro, capitale e terra; nel secondo caso, invece, si rilevano le distanze che separano i redditi complessivi percepiti da ciascun individuo. Si tratta di fenomeni distinti da analizzare con tecniche, dati e indicatori diversi, ma che non sono privi di connessioni tra loro. Tali connessioni non sempre sono state adeguatamente tenute in conto nell’analisi della disuguaglianza e ciò è testimoniato anche dalla tendenza della ricerca economica a concentrarsi, nel corso del tempo, sull’una o sull’altra concezione di distribuzione del reddito.

Iniziamo dalle origini. Nel 1817 David Ricardo (1911:1) dopo aver ricordato che il prodotto della terra, cioè quanto da essa deriva grazie all’applicazione del lavoro e del capitale, si divide tra le tre classi che compongono la società, e cioè proprietari terrieri, capitalisti e lavoratori, scriveva che “determinare le leggi che regolano questa distribuzione è il problema principale dell’Economia Politica”.

Per lungo tempo l’attenzione verso quel problema rimase viva e fu affrontato con approcci diversi, se non contrapposti, come sono quello della teoria classica e della teoria neo-classica. Col trascorrere dei decenni e con l’evoluzione dei sistemi economici si è, però, consolidata l’idea che guardare soltanto alla distribuzione del prodotto nazionale tra le tre classi sociali fosse insufficiente per comprendere l’ampiezza, le caratteristiche e la stessa dinamica delle disuguaglianze economiche. Nel mondo di Ricardo le classi sociali erano relativamente omogenee al proprio interno; lo era in particolare quella dei lavoratori, i quali, ad esempio, non differivano molto per ciò che oggi si chiama dotazione di capitale umano: tutti ne erano poco provvisti. Ciò permetteva di avere anche un’idea immediata e semplificata della distribuzione personale in base a quella funzionale: i capitalisti erano i ricchi, i lavoratori i poveri e i proprietari terrieri occupavano una posizione intermedia (Lydall, 1968).

 

La declinante attenzione per la distribuzione funzionale

Il progressivo affievolirsi dell’omogeneità all’interno delle classi ha reso possibile che le disuguaglianze tra individui si modificassero, anche sensibilmente, senza movimenti nella distribuzione funzionale. Inoltre, a seguito di diversi processi, tra i quali vi è la capacità di risparmio di molti lavoratori, il reddito di una consistente quota di famiglie ha iniziato a provenire da più di una fonte. Tra le conseguenze di queste evoluzioni vi è anche l’indebolimento della possibilità di analizzare compiutamente i conflitti sociali guardando soltanto all’andamento delle quote di prodotto assegnate a ciascun fattore, che era una della ragioni dell’importanza attribuita alla distribuzione funzionale.

Un contributo ad attenuare l’attenzione per la distribuzione funzionale è venuto anche dall’apparente costanza, nel lungo periodo, delle quote distributive. Significativo è che all’inizio degli anni ’60 un economista keynesiano come Nicholas Kaldor considerasse quella costanza uno dei fatti stilizzati del capitalismo; questa convinzione condizionò anche la costruzione di modelli teorici di crescita economica. I decenni successivi, con la caduta della quota di reddito che va al lavoro, mostreranno che non si trattava di un persistente fatto stilizzato. Comunque, nella prima metà degli anni ’60 un autorevole storico dell’analisi economica, Mark Blaug, poteva scrivere: “il grande mistero della moderna teoria della distribuzione è il motivo per cui la quota dei salari e dei profitti è considerata un problema interessante” (Blaug, 1996:467).

Al declino di attenzione per la distribuzione funzionale non si è inizialmente accompagnato un interesse crescente per la distribuzione personale. In realtà, per un non breve periodo, verso la disuguaglianza economica in generale gli economisti hanno mostrato scarso interesse. E’ significativo che nel 1997 Atkinson avvertì l’esigenza di pubblicare un articolo che denunciava questa mancanza di interesse e si sforzava di spiegare perché, invece, fosse importante non soltanto occuparsi della disuguaglianza ma anche incorporarla nelle teorie economiche (Atkinson, 1997). Si può dire che l’appello di Atkinson è stato accolto soprattutto per quello che riguarda gli studi empirici. Poco si è fatto, però, per integrare la distribuzione funzionale con quella personale e già nel 2009 lo stesso Atkinson invitava a riflettere sull’importanza di prestare attenzione alla distribuzione funzionale anche al fine di meglio comprendere e spiegare quella personale (Atkinson, 2009).

 

La distribuzione funzionale negli ultimi decenni

Infatti, modifiche nella distribuzione funzionale tendono a riflettersi sistematicamente su quella personale. Consideriamo le tendenze degli ultimi decenni. Come si è già accennato, da alcuni decenni in quasi tutti i paesi la quota di reddito che va al lavoro ha iniziato a perdere terreno nei confronti di quella che va al capitale (Fondo Monetario Internazionale, 2017).

In Italia la caduta sarebbe iniziata nella seconda metà degli anni ’70 (Tronti, 2005) e sarebbe proseguita poi senza invertire la tendenza. In realtà, secondo alcune stime, all’inizio del nuovo secolo si sarebbe verificata una tale inversione (Banca d’Italia, 2016).

Le diverse valutazioni nascono fondamentalmente da un problema ricorrente quando si stima la distribuzione funzionale e cioè come computare i redditi da lavoro autonomo. In mancanza di una rilevazione diretta si tende ad assumere che il reddito medio del lavoratore autonomo segua la stessa dinamica di quella del lavoratore dipendente.

Formulando ipotesi alternative si giunge, però, alla conclusione che la quota del lavoro non ha invertito la propria tendenza a ridursi anche nel nostro paese (D’Elia e Gabriele, 2018); il risultato opposto dipenderebbe dalla mancata considerazione che a partire dall’inizio del secolo il lavoro autonomo ha perso terreno, in termini di reddito, nei confronti di quello dipendente e, dunque, assumere un’eguale dinamica porta a sovrastimare la quota di reddito che va al lavoro nel suo complesso.

 

L’influenza della distribuzione funzionale sulla distribuzione personale dei redditi

Il travaso di quote di reddito dal lavoro al capitale ha precise conseguenze sulla distribuzione personale dei redditi. Infatti, il reddito da capitale si distribuisce tra le famiglie e gli individui in modo più diseguale del reddito da lavoro e, dunque, se il reddito da capitale pesa di più la disuguaglianza nei redditi personali aumenta. Il fenomeno sarebbe contenuto se vi fosse un’elevata correlazione tra reddito da lavoro e reddito da capitale a livello familiare, cosicchè al crescere di una fonte di reddito si ridurrebbe in modo tendenzialmente omogeneo l’altra fonte di reddito in ciascun nucleo familiare. Ma in realtà la correlazione è piuttosto bassa e, dunque, si può ritenere che il cambiamento nella distribuzione funzionale abbia di per sé contribuito al rilevato peggioramento nella distribuzione personale. Naturalmente, altri fattori hanno inciso su quest’ultima; tra di essi vi è la tendenza a crescere della disuguaglianza nei redditi da lavoro (Franzini e Raitano, 2018).

Una conferma dell’importanza che ha la distribuzione funzionale viene dalla considerazione che nel nostro paese è peggiorata soprattutto la disuguaglianza nei redditi di mercato che – diversamente dai redditi disponibili - non tengono conto del pagamento delle imposte dirette e dei trasferimenti provenienti dello stato (Franzini e Raitano, 2018). La distribuzione funzionale incide, naturalmente, sui redditi di mercato e questo ne illustra la particolare importanza.

Inoltre, l’attenzione per questo aspetto è densa di conseguenze anche per definire la migliore strategia di constrasto delle disuguaglianze nei redditi personali. L’implicazione è, infatti, che occorre intervenire a correggere il modo nel quale, per l’operare dei mercati e per il funzionamento delle imprese, il reddito di mercato si distribuisce tra i principali attori economici.

Ciò vuol dire che occorrono non soltanto politiche redistributive ma anche, come vengono chiamate, politiche pre- distributive e tra di esse vi sono le politiche in grado di modificare la distribuzione funzionale a favore del lavoro (Franzini, 2018).

 

Conclusioni

Risulta così confermato che la distribuzione funzionale dovrebbe essere attentamente considerata anche per meglio comprendere e per contrastare più efficacemente la disuguaglianza personale, ricorrendo a strumenti che non consistono soltanto nella tassazione e nei trasferimenti.

Peraltro, non è irrilevante, sotto il profilo dell’equità, essere consapevoli di cosa si nasconde dietro l’aumento delle disuguaglianze. Se a determinare tale aumento concorre in modo rilevante la quota crescente di reddito che va ai possessori di capitale o, più in generale, di ricchezza, nelle sue varie forme, le ragioni per intervenire – questa volta anche con appropriate forme di tassazione – possono poggiare su solidi principi di equità. E a maggior ragione è così se la ricchezza proviene più che dal proprio risparmio, da eredità o da poco meritori arricchimenti permessi dagli andamenti di Borsa.

In conclusione, per comprendere e per contrastare uno dei più rilevanti fenomeni di questi decenni, e cioè la crescita della disuguaglianza nei redditi personali, è bene dare più peso di quanto non si faccia alla distribuzione funzionale e integrare l’analisi della sua dinamica con quella della distribuzione dei redditi personali, riscattando – nell’opportuna misura – il dimenticato avvertimento di Ricardo e degli economisti classici.

 

Riferimenti bibliografici

  • Atkinson A. B. (1997), “Bringing income distribution in from the cold”, Economic Journal, March, 297-321.
  • Atkinson A. B. (2009), “Factor shares: the principal problem of political economy?”, Oxford Review of Economic Policy, 25(1), 3-16.
  • Banca d’Italia (2016), Relazione annuale. Anno 2015, Roma, Banca d’Italia.
  • Blaug, M. (1996) [1962], Economic Theory in Retrospect, Cambridge, Cambridge University Press.
  • D’Elia E. e S. Gabriele (2018), “Chi ha raccolto i frutti della crescita economica in italia? La distribuzione funzionale dei redditi 1995-2016” in M. Franzini e M. Raitano (a cura di), Il mercato rende diseguali? La distribuzione dei redditi in Italia, Bologna, Il Mulino.
  • Fondo Monetario Internazionale (2017), “Understanding the Downward Trend in Labor Income Shares”, World Economic Outlook: Gaining Momentum?, capitolo 3.
  • Franzini M. (2018), “Conclusioni: redistribuire non basta. Perché e come intervenire sulle disuguaglianze di mercato”, in Franzini M. e Raitano M. (a cura di), Il mercato rende diseguali? La disuguaglianza dei redditi in Italia, Bologna, Il Mulino.
  • Franzini M. e M. Raitano (2018), “Le tendenze della disuguaglianza dei redditi disponibili e di mercato”, in Franzini M. e Raitano M. (a cura di), Il mercato rende diseguali? La distribuzione dei redditi in Italia, Bologna, Il Mulino.
  • Kaldor N. (1961), “Capital Accumulation and Economic Growth”, in F. A. Lutz (a cura di), The Theory of Capital, Londra, MacMillan
  • Lydall, H. F. (1968), The Structure of Earnings, Oxford, Clarendon Press.
  • Ricardo D. (1911) [1817], On the Principles of Political Economy and Taxation, Londra, J.M. Dent & Sons
  • Tronti, L. (2005), “Protocollo di luglio e crescita economica: lʼoccasione perduta”, Rivista internazionale di Scienze Sociali, 2, 345-370.

 

Suggerimenti di lettura

  • Atkinson A. (2015), Inequality: What Can Be Done?, Cambridge (MA), Harvard University Press (trad. it. Disuguaglianza. Che cosa si può fare, Milano, Cortina, 2015).
  • Franzini M. e M. Pianta (2016), Le disuguaglianze. Quante sono, come combatterle, Roma-Bari, Laterza.
  • Franzini M. e M. Raitano (2018) (a cura di) Il mercato rende diseguali? La distribuzione dei redditi in Italia, Bologna, Il Mulino.
  • Piketty T. (2014), Capital in the Twenty-First Century, Cambridge (MA), Harvard University Press (trad. it. Il capitale nel XXI secolo, Milano, Bompiani, 2016).
  • Stiglitz J. (2012), The price of inequality, New York, Allen Lane (trad. it. Il prezzo della disuguaglianza, Torino, Einaudi, 2013).
Maurizio Franzini
Maurizio Franzini è professore ordinario di Politica Economica nell’Università di Roma “La Sapienza”. È Direttore del Centro Interuniversitario di Ricerca “Ezio Tarantelli” (CIRET) e della rivista online “Menabò di Etica e Economia”. È membro del Consiglio dell’Istat di cui è stato Presidente f.f. tra agosto 2018 e febbraio 2019. È responsabile scientifico del programma VisitINPS. È autore di circa 200 pubblicazioni scientifiche su riviste e presso editori nazionali e internazionali.

Progetto realizzato da

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Con il contributo di

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