Glossario

Il "Glossario delle disuguaglianze sociali" mira a realizzare una raccolta di voci specificamente dedicate alla problematica delle disuguaglianze economiche e sociali, nella prospettiva di uno strumento di conoscenza e di informazione di base, durevole e continuativo. Le voci presenti sul portale - curate da professori, ricercatori ed esperti sui temi di interesse del Glossario - rappresentano il solido inizio di un progetto sempre attivo e in continua espansione. Pertanto, se pensi che sia ancora assente nel Glossario qualche argomento di rilevo nello studio delle disuguaglianze sociali, non esitare a segnalarcelo (glossario@fondazionegorrieri.it).

Stratificazione sociale

Scritto da: Gabriele Ballarino, Nazareno Panichella

 

Definizione

Il termine stratificazione proviene dalla geologia e indica il fatto che la crosta terrestre è costituita da strati di diversi materiali tra loro distinti e sovrapposti. In sociologia, la metafora indica che la società è divisa in gruppi, e che tra questi esiste un ordinamento o gerarchia (Ballarino, 2009; Ballarino e Panichella, 2017a). Stratificazione sociale è quindi sinonimo di disuguaglianza, poiché questo termine indica il fatto che, in una società, le risorse materiali e simboliche sono distribuite in maniera differenziata, e che questa differenziazione è tale da favorire alcuni dei suoi membri rispetto ad altri. Stratificazione non è dunque semplice eterogeneità (Blau, 1977), ma una differenza ordinata, dove è preferibile trovarsi in alcune posizioni piuttosto che in altre. Eterogeneità è invece una diversità in senso stretto, dove non è possibile stabilire quale posizione sia preferibile. Il confine tra questi due concetti è però sfumato: un gruppo definito da una differenza può infatti trovarsi in una situazione di sistematica subordinazione gerarchica, dando così vita a una differenza ordinata, ovvero a una stratificazione. Per esempio, di per sé il sesso rappresenta una dimensione di eterogeneità, o in altri termini di differenziazione orizzontale: gli esseri umani sono divisi biologicamente in maschi e in femmine e in generale non è preferibile appartenere al primo piuttosto che al secondo gruppo. In molte società ai maschi sono però attribuiti una serie di privilegi sociali, facendo così diventare l’eterogeneità una stratificazione, e il sesso una dimensione di quest’ultima.

Tutte le società umane di cui abbiano notizia sono stratificate. Tuttavia, mentre la stratificazione sociale può essere ritenuta un’invariante sociale, le sue forme e i suoi meccanismi di riproduzione variano nel tempo e nello spazio. La disuguaglianza era relativamente bassa nelle società primitive e di raccoglitori, non da ultimo perché l’economia di queste società non produce alcun surplus che uno strato di dominatori possa appropriarsi. Con il progredire della tecnologia produttiva, e la divisione del lavoro ad essa associata, aumentano sia la disuguaglianza della ricchezza che la concentrazione del potere, che culminano nelle società agricole, dove si produce un surplus relativamente elevato che è appropriato dei gruppi sociali più avvantaggiati. Nelle società industriali c’è invece una riduzione della disuguaglianza, che tende ad abbassarsi verso livelli inferiori a quelli delle società agricole, ma pur sempre superiori a quelli delle originarie società nomadi. Lenski (1966) attribuisce questo cambiamento alla rivoluzione politica, o comunque all’affermazione nella politica moderna del principio egualitario, per cui la distribuzione del potere diventa meno iniqua di quanto non fosse in passato.

Queste dinamiche hanno comportato anche un cambiamento dei meccanismi di riproduzione intergenerazionale della stratificazione sociale: mentre nelle società premoderne la posizione sociale individuale è di solito determinata da criteri di tipo ascrittivo, ovvero ereditari, in quelle moderne le posizioni sono determinate da criteri acquisitivi, o di merito, per cui dipendono (idealmente) dal merito e dalle capacità degli individui (Blau e Duncan, 1967). Il passaggio da una stratificazione basata sull’ereditarietà a una basata sul merito si è associato dall’espansione dell’economia di mercato, e dalla concorrenza che questa implica: in un’economia di mercato competitiva, i datori di lavoro sono incentivati ad assegnare le posizioni sociali secondo le capacità delle persone e non secondo le appartenenze.

È necessario però precisare che il passaggio dall’ascrizione al merito è stata messa in discussione degli stessi studi sulla stratificazione sociale, che hanno mostrato l’importanza dei meccanismi ereditari anche nelle società contemporanee (Blau e Duncan, 1967). Anche dal punto di vista strettamente empirico, distinguere l’effetto dell’ereditarietà da quella del merito non è semplice. La distinzione tra meccanismi ascrittivi e acquisitivi non è più vista come una forma di evoluzione storica irreversibile, ma come uno strumento euristico per descrivere lo sviluppo socioeconomico nel lungo periodo.

 

Le dimensioni della stratificazione e lo schema di classe

Dopo aver descritto cosa si intende per stratificazione, è necessario definire le sue dimensioni la sua operativizzazione empirica. Innanzitutto, la stratificazione è un fenomeno multidimensionale: in teoria, esistono tante dimensioni di stratificazione quanti tipi di risorse socialmente disponibili (Ballarino e Panichella, 2017). La classica teoria di Max Weber (1995) ha identificato tre dimensioni di stratificazione. La prima, quella economica, fa appunto riferimento alla distribuzione eterogenea delle risorse economiche, materiali e monetarie. La seconda è quella culturale, che riguarda le risorse immateriali, come l’istruzione, il prestigio, e le altre ricompense simboliche associate a diverse posizioni sociali. Infine, la terza dimensione e quella politica e riguarda il diverso accesso alle risorse distribuite dal sistema politico. Ognuna di queste tre dimensioni definisce una serie di gruppi: le risorse economiche definiscono le classi, quelle culturali i ceti e le risorse politiche i partiti.

Data questa multidimensionalità, esistono quindi diversi modi di misurare le risorse in possesso dagli individui e la loro posizione nella stratificazione sociale. Tra gli scienziati sociali c’è però ampio consenso sulla centralità dell’occupazione nella stratificazione sociale contemporanea, visto che nelle società contemporanee gli individui traggono la maggior parte delle risorse e delle opportunità a loro disponibili dalla una qualche forma di lavoro dipendente o autonomo. La ricerca sociologica considera dunque l’occupazione come indicatore della posizione sociale degli individui. Le singole occupazioni vengono poi raggruppate e classificate, individuandone le caratteristiche più rilevanti dal punto di vista della stratificazione sociale. In questo modo lo spazio sociale è suddiviso in classi, che offrono a coloro che vi sono compresi diverse risorse (economiche, sociali e culturali) e diverse opportunità di vita (Cobalti e Schizzerotto, 1994).

Esistono numerose teorie delle classi sociali, ma quella oggi più utilizzata in sociologia è la teoria neo-weberiana, sviluppata negli anni Settanta da Goldthorpe e dai suoi collaboratori (cfr. Breen, 2004). Questa teoria raggruppa le occupazioni in gruppi più ampi, definiti appunto classi sociali, in base a due loro aspetti da cui dipende la gran parte dei compensi, sia materiali che immateriali, che toccano agli individui occupati. Il primo è la situazione di lavoro, che si riferisce alla posizione di un’occupazione nella divisione dei compiti e nella gerarchia organizzativa. Il secondo aspetto riguarda invece la situazione di mercato, ovvero l’insieme di ricompense, materiali e non, associate a ciascuna occupazione. Queste dipendono sia dalla competizione di mercato in sé, sia dalla regolazione istituzionale che influisce sul mercato.

Prendendo in considerazione queste caratteristiche di ciascuna occupazione, si ottiene lo schema di classe neo-weberiano riprodotto nella Tabella 1. Si tratta di un adattamento dello schema di classe EGP (Erikson–Goldthorpe–Portocarero) alla società italiana che, rispetto agli altri paesi europei, aveva una più alta quota di lavoratori agricoli (Cobalti e Schizzerotto, 1994).

 

Tabella 1. Schemi di classe neo-weberiani utilizzati in Italia

schema a 3 posizioni

schema a 6 posizioni

schema a 12 posizioni

borghesia

borghesia

imprenditori

liberi professionisti

dirigenti

classi medie

 

classe media impiegatizia

 

impiegati di concetto (lavoratori dipendenti non manuali, a qualifica medio-alta)

impiegati esecutivi (lavoratori dipendenti non manuali, a qualifica medio-bassa)

piccola borghesia urbana

artigiani e commercianti con dipendenti

artigiani e commercianti senza dipendenti

piccola borghesia agricola

proprietari agricoli, con e senza dipendenti (coltivatori diretti)

classe operaia

classe operaia urbana

operai qualificati (dell'industria e del terziario)

operai comuni industriali

operai dei servizi (lavoratori dipendenti a bassa qualificazione nel terziario)

classe operaia agricola

braccianti (lavoratori dipendenti nel settore agricolo)

Fonte: Cobalti e Schizzerotto (1994).

 

Lo schema di classe è uno strumento analitico, che come tale può avere diverse versioni: c’è uno schema dettagliato, che distingue le occupazioni in dodici classi sociali, e due versioni ridotte, a sei o a tre classi. La scelta del livello di dettaglio dipende da due questioni: dalla numerosità dei campioni che si stanno analizzando, perché solo campioni numerosi consentono disaggregazioni articolate; dall’oggetto di studio, vale a dire dalle caratteristiche della popolazione che si sta studiando.

Nella versione meno dettagliata dello schema, si distinguono tre grandi classi: la borghesia, le classi medie e la classe operaia. Nella versione più dettagliata, quella a dodici classi, la borghesia è invece scorporata in tre classi: gli imprenditori, che comprende i lavoratori autonomi con almeno 15 dipendenti, i dirigenti e i liberi professionisti, con o senza dipendenti. Nelle classi medie sono comprese posizioni occupazionali intermedie. Nelle versioni dettagliate dello schema, queste sono suddivise in classe media impiegatizia, che comprende lavoratori dipendenti di livello medio-alto, e la piccola borghesia. Quest’ultima viene poi ulteriormente suddivisa in piccola borghesia urbana e agricola: la prima include i commercianti e gli artigiani, mentre la seconda comprende i coltivatori diretti, ovvero coloro che possiedono dei terreni e lavorano essi stessi su questi terreni, da soli o con pochi collaboratori. Nella classe operaia, infine, sono comprese occupazioni in cui si svolgono attività in larga misura dirette da altri, prevalentemente ma non solo manuali. La classe operaia viene anch’essa suddivisa in urbana e agricola: la prima comprende i lavoratori del settore industriale e dei servizi, mentre quella agricola comprende i lavoratori dipendenti del settore primario, i braccianti.

 

La stratificazione sociale in Italia

Come anticipato in precedenza, la struttura occupazionale cambia nel tempo e nello spazio. Il primo obiettivo delle ricerche empiriche è quindi descrivere questi cambiamenti per poi analizzare gli spostamenti degli individui tra le classi sociali. La Figura 1 riporta, per il periodo compreso tra il 1955 e il 2005, la quota di individui inclusi nelle diverse classi sociali nella società italiana, calcolate attraverso l’analisi dei dati dell’Indagine Longitudinale sulle Famiglie Italiane (ILFI).

 

Figura 1. La struttura occupazionale italiana (1955-2005)

Fonte: Elaborazioni degli autori su dati dell’Indagine Longitudinale sulle Famiglie Italiane.

 

La Figura 1 mostra come lo sviluppo e il declino dei diversi settori di attività economica abbiano modificato la struttura di classe del nostro paese. Lo sviluppo industriale ha infatti comportato un notevole ridimensionamento delle classi agricole (“COA” e “PBA”) e un contemporaneo aumento del numero degli operai di fabbrica (“COU”). A partire dalla prima metà degli anni Settanta, quando il processo di industrializzazione ha raggiunto il culmine, nel Centro-Nord è diminuito il peso quantitativo della classe operaia urbana, mentre hanno iniziato a svilupparsi le occupazioni tipiche della società postindustriale, come quelle del settore impiegatizio e dei servizi. La classe impiegatizia, infatti, negli anni Cinquanta aveva dimensioni ridotte nel Centro-Nord come nel Sud, ma negli anni successivi ha avuto una rapida e continua crescita, fino a diventare la classe più numerosa dopo quella operaia urbana. Anche la leggera crescita della borghesia – che, ricordiamo, oltre agli imprenditori e ai liberi professionisti include anche i dirigenti – può essere ricondotta al processo di terziarizzazione dell’economia italiana.

Hanno invece continuato a diminuire le due classi agricole (che nel grafico sono mostrate insieme), soprattutto quella operaia. La meccanizzazione dell’agricoltura e l’abbandono delle coltivazioni marginali, non meccanizzabili, hanno determinato il declino di questa classe, così importante in passato anche dal punto di vista politico (si pensi alla questione della proprietà della terra e alla riforma agraria, che negli anni ‘50 del secolo scorso rappresentava ancora una questione politica di grandissima rilevanza). Il declino di questa classe si è poi associata a una consistente migrazione interna, in particolar modo dalle regioni del Sud verso quelle del Centro-Nord. Questa diminuzione ha riguardato, ancora una volta, soprattutto le regioni settentrionali. Infatti, se si definisce industrializzata una società con una quota di addetti all’agricoltura non superiore al 10%, allora si dovrebbe concludere che le regioni meridionali sono rimaste preindustriali fino al 1996, mentre quelle del Centro-Nord erano industrializzate già nel 1967. Nel 1970, infatti, solo l’8,1% della popolazione centro-settentrionale era incluso in una delle due classi agricole, a fronte del 23,8% della popolazione meridionale (Panichella, 2014).

Questi cambiamenti hanno naturalmente influenzato i percorsi di mobilità sociale degli italiani. In effetti, la descrizione della stratificazione sociale diventa più interessante quando non ci si limita a individuare la posizione degli individui nella struttura di classe, ma quando se ne studia il movimento e le relative cause (Cobalti, 1995; Ballarino e Cobalti, 2003). Infatti, dopo aver descritto la struttura di classe di una data società, e naturalmente i suoi cambiamenti nel tempo, gli studi di stratificazione e di mobilità sociale si concentrano sui movimenti degli individui (mobilità sociale) all’interno dello spazio così descritto.

 

Riferimenti bibliografici

  • Ballarino G. (2009), “Stratificazione e mobilità sociale”, in A. Bonomi, N. Pasini e S.L. Bertolino (a cura di), La Cultura Italiana. Struttura della società, valori e politica, 437-459, Torino, Utet.
  • Ballarino G. e A. Cobalti (2003), Mobilità sociale, Roma, Carocci.
  • Ballarino G. e N. Panichella (2017), “La stratificazione sociale: occupazioni, origini sociali e istruzione”, in F. Barbera e I. Pais (a cura di), Fondamenti di sociologia economica, 353-368, Milano, Egea.
  • Blau R.D. (1977), Inequality and Heterogeneity. A Primitive Theory of Social Structure, New York, The Free Press.
  • Blau P.M. e O.D. Duncan (1967), The American Occupational Structure, New York, Wiley.
  • Breen R. (2004, a cura di), Social mobility in Europe, Oxford, Oxford UP.
  • Cobalti A. e A. Schizzerotto (1994), La mobilità sociale in Italia, Bologna, Il Mulino.
  • Cobalti A. (1995), Lo studio della mobilità. Metodi e prospettive dell’indagine sociologica, Roma, NIS.
  • Lenski G. (1966), Power and Privilege. A Theory of Social Stratification, New York, McGraw Hill.
  • Panichella N. (2014), Meridionali al Nord. Migrazioni interne e società italiana dal dopoguerra ad oggi, Bologna, Il Mulino.

 

Suggerimenti di lettura

  • Durkheim E. (1893), De la division du travail social (trad. it. La divisione del lavoro sociale, Milano, Il Saggiatore, 2016).
  • Erikson R. e J.H. Goldthorpe (1992), The Constant Flux, Oxford, Clarendon.
  • Weber M. (1995), Economia e società, Milano, Comunità.
  • Wright E.O. (2005, a cura di), Approaches to Class Analysis, Cambridge, Cambridge UP.
Gabriele Ballarino
Gabriele Ballarino è professore ordinario all’Università di Milano, dove insegna Sociologia economica e Education, training and the labour market. I suoi principali interessi di ricerca riguardano l’analisi della stratificazione e della mobilità sociale, le opportunità educative, e i rapporti tra istruzione ed economia, visti sia dal punto di vista micro (istruzione e stratificazione sociale) che dal punto di vista macro (politiche dell’istruzione superiore e della transizione scuola-lavoro).
Nazareno Panichella
Nazareno Panichella è ricercatore di Sociologia economica all’Università di Milano, dove insegna Data Analysis and Statistics. Si occupa di disuguaglianze sociali, migrazioni interne e internazionali, disuguaglianze educative, mercato del lavoro e metodi quantitativi per la ricerca sociale. Con il Mulino ha pubblicato il volume Meridionali al Nord. Migrazioni interne e società italiana dal dopoguerra a oggi (Il Mulino, 2014).

Progetto realizzato da

Fondazione Ermanno Gorrieri per gli studi sociali

Con il contributo di

Fondazione Cassa di Risparmio di Modena