Glossario

Il "Glossario delle disuguaglianze sociali" mira a realizzare una raccolta di voci specificamente dedicate alla problematica delle disuguaglianze economiche e sociali, nella prospettiva di uno strumento di conoscenza e di informazione di base, durevole e continuativo. Le voci presenti sul portale - curate da professori, ricercatori ed esperti sui temi di interesse del Glossario - rappresentano il solido inizio di un progetto sempre attivo e in continua espansione. Pertanto, se pensi che sia ancora assente nel Glossario qualche argomento di rilevo nello studio delle disuguaglianze sociali, non esitare a segnalarcelo (glossario@fondazionegorrieri.it).

Povertà soggettiva

Scritto da: Chiara Saraceno

 

Definizione

Ogni definizione di cosa sia la povertà e quale sia il metodo di misurarla più adeguato implica giudizi di valore, che si tratti di identificare lo standard di vita decente, i bisogni o le capacità e funzionamenti fondamentali. Nelle definizioni assolute e relative di povertà, questi giudizi vengono effettuati sulla base sia di teorie circa, appunto, i bisogni, sia in riferimento allo standard di vita medio. Nell’approccio della povertà soggettiva, invece, il punto di partenza è la percezione che gli individui hanno della povertà, o, se si vuole, quali sono le circostanze che giudicano come espressione di uno stato di povertà, che si tratti di livelli di reddito, o di mancanza di alcuni beni o opportunità, materiali ma anche relazionali e quali criteri e gruppi di riferimento adottano nell’effettuare questi giudizi.

 

Come si misura e da cosa è influenzata

Gli strumenti adottati per documentare questa percezione sono diversi, anche se per lo più tutti basati su dati di indagini campionarie. Si può chiedere agli intervistati di collocare la propria famiglia su una scala dal più povero al ricco (ad es. Ravallion e Lokshin, 2001, 2002), di indicare quale sia il reddito minimo necessario per una famiglia di un certo tipo, come ha fatto negli USA l’Istituto Gallup fino agli anni Novanta (Rainwater, 1974). Oppure si utilizzano domande del tipo se si riesce ad arrivare a fine mese, quale somma si ritiene assolutamente necessaria per mettere insieme il pranzo con la cena, se in una emergenza si può contare di avere a disposizione una somma minima (la cui entità è definita convenzionalmente in rapporto al tenore di vita del paese). Questo tipo di domande si può trovare in indagini effettuate sia nei paesi sviluppati sia in paesi in via di sviluppo (ad esempio Ravallion e Lokshin 2001, 2002; World Bank, 2005). Sono, ad esempio, alla base dell’indicatore del benessere soggettivo nel sistema di indicatori di Benessere equo e sostenibile (BES) in Italia (ISTAT, vari anni). Soprattutto nei paesi in via di sviluppo, le linee di povertà soggettive sono più alte di quelle calcolate in base ad un paniere di beni essenziali e vi sono notevole differenze tra i contesti urbani e quelli rurali, mentre non vi sono differenze statisticamente significative tra le linee indicate dai coloro che sono economicamente poveri e coloro che sono economicamente ricchi (World Bank, 2005).

La nozione di povertà soggettiva è, in effetti, strettamente legata a quella di benessere soggettivo e alle analisi su questa dimensione della qualità della vita. Queste analisi, infatti, hanno mostrato che il sentimento di felicità aumenta, a parità di ogni altra condizione, all’aumentare del reddito, ma non in modo proporzionale e in misura decrescente (Frey e Stutzer, 2002). Inoltre, se è vero, nelle comparazioni internazionali che i livelli di felicità sono più bassi nei paesi più poveri, la correlazione tra livello di reddito e felicità è molto debole già al di sopra di un reddito pro-capite piuttosto basso. Ciò indicherebbe che poter soddisfare i bisogni fondamentali è un prerequisito per poter provare un sentimento di felicità, ma oltre questa soglia minima altri sono i fattori in gioco.

Diverse ricerche hanno evidenziato che le aspettative e i gruppi di riferimento hanno una grande importanza nel determinare la percezione del benessere/malessere. Analisi empiriche su alcuni paesi hanno, ad esempio, mostrato che non sempre un aumento di reddito comporta anche un aumento della percezione di felicità, perché con il cambiare del reddito cambiano anche le aspettative e i gruppi di riferimento rispetto ai quali si compara la propria situazione (Easterlin, 2001), un fenomeno già messo in luce dagli studi sulla deprivazione relativa (ad esempio Runciman, 1966).

Anche la percezione di vulnerabilità individuale o del contesto in cui si vive è importante, a prescindere dal reddito oggettivamente disponibile. Lo status di disoccupato, ad esempio, ha un effetto negativo a prescindere dal reddito disponibile (Winkelmann e Winkelmann, 1998). Lo stesso vale per il tasso di disoccupazione presente nel contesto in cui si vive, a prescindere dallo status individuale di disoccupazione, in quanto aumenta la percezione di vulnerabilità e rischio. Anche dimensioni non economiche quali lo stato di salute, il sesso, la religione, le caratteristiche delle istituzioni politiche hanno rilevanza per la percezione del benessere soggettivo.

L’uso della povertà soggettiva per valutare l’incidenza della povertà è stato ed è oggetto di varie critiche, a partire dall’osservazione che la percezione dell’inadeguatezza (o viceversa adeguatezza) delle proprie risorse, il riuscire o meno a tirare a fine mese, il sentirsi o meno esclusi da relazioni importanti, può dipendere non dall’entità delle risorse stesse, ma, appunto, dalle aspettative che uno ha o dai suoi gruppi di riferimento. Perciò le percezioni direbbero più sul tipo di aspirazioni che uno ha, o sul tipo di vita che vorrebbe condurre, che non sul suo effettivo stato di povertà. In effetti, quando si compara chi si dichiara povero con chi appare povero secondo indicatori oggettivi non sempre c’è sovrapposizione: non tutti i poveri oggettivi si considerano poveri, mentre vi sono individui non poveri oggettivamente che invece si considerano tali. La critica più radicale è forse quella di Sen (1983), secondo il quale, “le forme più estreme di disuguaglianza e sfruttamento nel mondo sopravvivono facendo degli sfruttati e deprivati degli alleati. Chi sta sotto impara a portare il proprio peso così bene da non vederlo più. Lo scontento è sostituito dall’accettazione, la sofferenza e la rabbia dalla sopportazione di buon grado. Quando le persone imparano ad adattarsi, […] gli orrori appaiono meno terribili nella metrica delle utilità”.

Le differenze tra linee di povertà soggettiva e linee di povertà assoluta e relativa, tuttavia, non possono essere interpretate solo in termini di eccesso di aspirazioni o all’opposto adattamento al ribasso. Sono anche indizi del non perfetto allineamento tra risorse materiali da un lato, risorse culturali, psicologiche e relazionali dall’altro. Non si tratta qui di evocare la figura del “povero ma felice”, quanto, forse, la “capacità di aspirare” la cui mancanza, secondo Appadurai (2011) fa dei poverissimi dei poveri totali in quanto privi (deprivati) della capacità umana fondamentale di aspirare a migliorare la condizione propria e del proprio gruppo.

L’approccio della povertà soggettiva, con l’utilizzo di metodi di indagine appropriati anche di tipo qualitativo, si dimostra particolarmente euristico nel caso della povertà dei bambini, in quanto consente di comprendere che cosa significhi per loro, per il loro senso di identità e vita di relazione, essere poveri.

 

Riferimenti bibliografici

  • Appadurai A. (2011), Le aspirazioni nutrono la democrazia, Milano, et al./edizioni.
  • Easterlin R.A. (2001), “Income and happiness: Towards a unified theory”, Economic Journal, 111, 465-484.
  • Frey B. e A. Stutzer (2002), “Can economists learn from happiness research?”, Journal of Economic Literature, 40(2), 402-435.
  • ISTAT, Rapporti BES: il benessere equo e sostenibile in Italia, Roma, ISTAT. Anni vari.
  • Rainwater L. (1974), What money buys: inequality and the social meaning of income, New York, Basic works.
  • Ravallion M. e M. Lokshin (2001), “Identifying welfare effects using subjective questions”, Economica, 68, 335-357.
  • Ravallion M. e M. Lokshin (2002), “Self-rated economic welfare in Russia”, European Economic Review, 46, 1453-1473.
  • Runciman W.G. (1966). Relative Deprivation and Social Justice, Berkeley, University of California Press.
  • Sen A. K. (1983), “Poor, relatively speaking”, Oxford Economic Papers, 35, 153-169.
  • Winkelmann L. e R. Winkelmann (1998), “Why are the unemployed so unhappy? Evidence from panel data”, Economica, 65, 1-15.
  • World Bank (2005), Poverty Manual, Washington, World Bank, cap. 3.

 

Suggerimenti di lettura

  • Diener E. e R. Biswas-Diener (2003). “Findings on subjective well-being and their implications for empowerment”, Workshop on Measuring Empowerment: Cross-Disciplinary Perspectives, World Bank, Washington D.C., February 2003.
  • Van Praag B.M.S. e Van der Sar N. (1988). “Empirical Uses of Subjective Measures of Well-Being: Household Cost Functions and Equivalence Scales”. The Journal of Human Resources, 23(2), 193-210.
Chiara Saraceno
Chiara Saraceno, honorary fellow al Collegio Carlo Alberto di Torino, è stata professore alle Università di Trento e di Torino e professore di ricerca al Wissenschaftszentrum Berlin für Sozialforschung (WZB). Componente della Commissione di indagine sulla esclusione sociale per diversi anni, ne è stata presidente nel 2000-2001. Con Brandolini ha curato il volume Povertà e benessere (il Mulino 2007), e con Brandolini e Schizzerotto Dimensioni della disuguaglianza (il Mulino 2009). È autrice di Il lavoro non basta (Feltrinelli 2015).

Progetto realizzato da

Fondazione Ermanno Gorrieri per gli studi sociali

Con il contributo di

Fondazione Cassa di Risparmio di Modena